
Che mestiere è il nostro? Cos'è il giornalismo? Forse il modo migliore per definirlo l'ha trovato uno scrittore messicano, Paco Ignacio Taibo II, dicendo che è un luogo di confine, perché essendo a contatto con il potere, «i giornalisti possono esprimere il massimo della virtù come il massimo della corruzione». L'altra sera, a «Porta a Porta», l'alternativa è stata facilmente risolta. Dai giornalisti presenti è arrivato un semplice adeguarsi allo spirito che - almeno apparentemente - avvolge il paese. Tre velini, cui mancava - per essere pienamente nella parte - solo decolleté e botulino (ma per quest'ultimo sono ancora in tempo a por rimedio).
Di fronte avevano un Papi del Consiglio in tale difficoltà da dover ricorrere al maggiordomo di fiducia per spiegare in Tv che lui non va a letto con le minorenni, rinverdire l'immagine di buon nonno di famiglia, rilanciare la favola populistica dell'uomo che pensa a tutti e con tutti sa stare. Quello che unisce, nella sua presenza, la festa milionaria pagata al rampollo di casata con il semplice brindisi della periferia napoletana. E con l'efficienza dell'uomo di stato che ogni problema vede e a ogni dramma provvede. Eppure, i tre direttori non hanno saputo sottrarsi, hanno accettato il ruolo dei cortigiani, dispensando perbenistici consigli al premier (De Bortoli, Corriere della sera), recitando domande che sembravano assist (Napoletano, Il Messaggero), ammiccando e giocherellando a chi appariva più brillante (Sansonetti, l'Altro).
È vero, non è facile intervistare Silvio Berlusconi, soprattutto in Tv: «scappa» sempre altrove, blandisce, sproloquia portando il discorso da un'altra parte rispetto al quesito di partenza. «Porta a porta», poi, è zona minata, ci vuole un attimo a scivolare nel gossip o nel salottino tra complici. Ma questa recita da cortigiani del sovrano si può evitare. A meno che non si creda che quello - quello di Bruno Vespa - sia il principale luogo del confronto pubblico; che quello - quello di Berlusconi - sia il metro di misura della realtà, il palcoscenico della promozione (di idee o di testate vecchie e nuove). E se si crede davvero questo, se si considera inevitabile la sfida, allora perché ridursi a specchio del premier, perché riconfermare la sua egemonia e permettergli la simulazione dell'onnipotente che si sottopone al giudizio dell'opinione pubblica. O, più semplicemente, perché nessuno - ma proprio nessuno e non solo l'altra sera - ha fatto a Berlusconi la sola domanda sensata per questa vicenda da basso impero: «Signor presidente, come ha conosciuto il padre di Noemi e come mai discute al telefono con lui - che pure ha avuto qualche guaio con la giustizia - delle candidature alle prossime elezioni? Candidature che poi sarà lei, e solo lei, a decidere»? Una domanda semplice, forse troppo semplice per gli attori di un salotto cortigiano.
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