venerdì 26 giugno 2009

UN VIAGGIO OLTRE LA CRISI


Il turismo come antidoto alla crisi economica. Nella città della Fiat e nella regione della Ferrero, sembrerebbe un’affermazione quasi paradossale. Eppure, leggendo i numeri e i dati elencati da esperti del settore riuniti in convegno a Torino, il comparto turistico sembra avere le potenzialità per assolvere questo compito.

Dal 2000 a oggi, i flussi turistici hanno visto in Piemonte un aumento del 43% delle presenze e di oltre il 37% degli arrivi, con oltre 11 milioni di pernottamenti. Significativi anche i numeri sul turismo internazionale: nell’ultimo decennio hanno raggiunto il 33% degli arrivi e 35% delle presenze, mentre la media italiana si è attestata sul 35 e sul 30%. Indagini realizzate in Piemonte tra il 2007 e il 2008 parlano d’altronde chiaro: il turismo vale oltre 6 miliardi di euro, con un’incidenza del 5% sul Pil regionale. Montagne, laghi, colline e città d’arte: diversificare l’offerta risulta decisivo. Torino da sola conta il 25,5% delle presenze regionali.

«Al di là della crisi conta capire le caratteristiche di un paese - afferma Daniel John Winteler, presidente di Federturismo - perché il turismo non è solo strutture ricettive, serve un approccio più industriale e meno localistico». Più o meno le stesse richieste di Ferruccio Dardanelli, presidente di Unioncamere: «E’ giusto ricordare i dati positivi, ma non bisogna fermarsi lì e continuare a investire in marketing e pubblicità».

Tra gennaio 2008 e maggio 2009 la spesa dei turisti in Piemonte è scesa, secondo i dati dell’Isnart, del 4,9%. Eppure nel primo trimestre di quest’anno è cresciuta la clientela italiana: dal 69,1% al 73,3%. A spendere di più sono i turisti “enogastronomici”, con una media di 140 euro, mentre il turista “congressuale”, che secondo Alessandro Altamura, assessore comunale al turismo, «va incentivato a tornare», spende in media 111 euro.

martedì 23 giugno 2009

LETTERA APERTA AD AUGUSTO MINZOLINI


dal blog Nonunacosaseria

Caro Minzolini,

stasera Lei ha dichiarato che il TG1, circa la ben nota vicenda barese, “ha assunto una posizione prudente” perché “dietro questa storia piena di allusioni, testimoni più o meno attendibili e rancori personali non c’è ancora una notizia certa”.
Ora, a parte il fatto che di notizie certe ce ne sono parecchie (ragazze pagate per andare alle feste a Palazzo Grazioli che entravano lì – e magari si fermavano anche a dormire – senza nemmeno essere sottoposte a controlli; una visione del potere eticamente discutibile a prescindere dall’atto sessuale; una gestione dell’attività aziendale basata non sulla validità dell’idea imprenditoriale, ma sulla capacità di allietare il Capo del Governo; faccio solo tre esempi certi e confermati, ma potremmo continuare), la mia domanda riguarda il Suo privato, egregio Direttore. Ossia: non Le fischiavano le sue auguste orecchie mentre pronunciava questa frase? Ma come: Augusto Minzolini, il re del gossip politico e della dichiarazione non verificabile, magari da fonte anonima, oggi non riferisce una notizia perché trattasi di gossip e non è accertata? Si rende conto che così facendo mette in discussione un buon 90% degli articoli da Lei scritti negli ultimi diciotto anni?

Lei ha pure aggiunto che “in passato si tentò di colpire Prodi strumentalizzando la foto che ritraeva un suo collaboratore in una situazione definita scabrosa”. All’epoca, però, Lei scrisse, su Panorama, quanto segue: “…il garante è intervenuto solo quando è venuta fuori la notizia della foto del portavoce di Prodi, Silvio Sircana, che scherzava con un trans. Sui giornali non andrà più nulla dei veleni che condizionano la classe dirigente. Alla faccia della democrazia”. Quel che all’epoca veniva da Lei ritenuto diritto di cronaca, oggi è una volgare strumentalizzazione per colpire Prodi. Quel che all'epoca era una sorta di attentato alla democrazia, oggi è lecito praticarlo perché puro gossip. Cosa è avvenuto da farle cambiare idea? Il fatto che al centro della polemica ci sia Berlusconi?

Lei ha detto che “in queste settimane è stata messa sotto i riflettori la vita privata del premier in nome di un improvviso moralismo (…) queste strumentalizzazioni, questi processi mediatici non hanno nulla a che vedere con l’informazione del servizio pubblico”. Eh no! Mi permetta di dissentire. Potrei parafrase un noto editorialista di Panorama di nome Augusto Minzolini che – criticando Prodi che non andava in tv durante la campagna elettorale del 2006 - scriveva “l’opinione pubblica ha diritto di sapere chi è che guida il Paese, come reagisce in situazioni diverse, come si comporta nelle trasmissioni politiche, ma anche da Biscardi e da Bonolis”. Ma non è questo il punto, Direttore. Il punto è che qui non stiamo scandagliando la vita privata di una persona, e una persona qualunque. Qui stiamo aprendo uno squarcio su come un Capo di Governo si rapporta con le persone che lo circondano, si espone a ricatti e a “veleni che condizionano la classe dirigente”, gestisce le relazioni e il potere che, pro tempore, gli viene affidato.
In parole povere: se Berlusconi si vuole trombare un tegame anziché la moglie, è libero di farlo, son cavoli suoi. Ma se (giusto per dirne una e nemmeno la più rilevante) Berlusconi, in cambio della trombata, promette una variante urbanistica, siamo al di là del privato, al di là del gossip, al di là del moralismo. La questione è pubblica. Pubblicissima.

Infine, un’ultima domanda. Lei che è tanto bravo da non confondersi con il gossip e sta attento solamente alle notizie, pensa che quei quattro milioni di italiani che si informano solamente guardando il TG1 abbiano capito qualcosa di quel che sta avvenendo a Bari con il servizio che il telegiornale da Lei diretto ha proposto stasera?
Vuole che ricapitoli i passaggi salienti di quel servizio? Bene: l’intero primo minuto (su due e dieci totali) è dedicato alla dichiarazione dell’avvocato di Giampaolo Tarantini (senza specificare chi sia costui se non dopo un minuto e quindici secondi). Dopodiché si sottolinea che il nome che “ricorre più frequentemente nelle intercettazioni è quello di Alessandro Frisullo del Partito Democratico” e si aggiunge che, per avere rapporti con il potere, Tarantini ha l’abitudine di organizzare feste di qua, di là, di su e di giù fino ad arrivare molto in alto, al Presidente del Consiglio. Il giornalista spiega infine che la teste principale, Patrizia D’Addario, ha raccontato di due di queste feste a Palazzo Grazioli e quel che inquieta la Procura di Bari è che costei ha “offerto prove fotografiche della sua presenza” perché ciò ha a che fare con “il mancato controllo in luoghi considerati residenze di Stato”.
E secondo Lei, come ha poi riferito il conduttore Attilio Romita, questa così descritta sarebbe “la vicenda che in questi giorni ha sollevato polemiche anche di natura politica"?

lunedì 22 giugno 2009

C.S.I CALCIATORI STATI INDIPENDENTI


di Francesca Biglia

Via Spazzapan. Zona Lingotto. La Torino assolata d'inizio estate. Tanti sguardi, fischi, musica, fremiti all'incrociarsi di maglie e gambe che cercano l'incrocio dei pali. L'anno scorso. L'anno ancora prima. Quest'anno ancora una volta.
Balon Mundial, il primo mondiale per migranti di Torino. Uno dei modi - e tanti mondi - per dire calcio. E per fare integrazione. In questi giorni in cui l'Europa si ridisegna nelle sue paure e l'Italia mette in campo, tra le sponde del Mediterraneo, nuove strategie d'intercettazione e respingimento. Da tre anni, mentre altrove si gioca il calcio dei professionisti, di quelli pagati e affermati, il calcio dei riflettori e degli scandali, a Torino si fa il gioco di chi la città la vive, la suda, la (ri)popola e l'anima. Il football "senza frontiere", scriveva qualcuno, "il football della nostra memoria felice". Quattro week-end di calcio, dal 13 giugno al 5 luglio. Cinquanta partite. Più una finale interregionale contro le vincenti di altri "simil Balon" a Genova, Milano e Bresciano. Un gruppo di 28 squadre, provenienti da 28 Paesi. Una città. E quasi seicento giocatori. Lavoratori con la passione (e a volte o un tempo la professione) del pallone, che in una manciata di fine settimana d'inizio estate vestono le maglie della loro "nazionale". Marocchini, senegalesi, tunisini, ivoriani, nigeriani, ghanesi, congolesi (Brazzaville e Repubblica Democratica), camerunensi.

Storie di vita e di pallone. Moustapha, numero 1 del Senegal, ambulante, oggi glutei meno affusolati e qualche chilo in più sulle spalle, ha un passato in nazionale under 21 e tante promesse tra mani e guantoni da raccontare. Oltre che un conto aperto con i rigori che son costati alla sua "nazionale torinese", nonostante tutti i Gri-Gri, la coppa della prima edizione. Mancano gli egiziani, quest'anno. Il kebab-team. Allenamenti mattutini al parco del Valentino, dopo le preghiere in moschea e prima dei turni al Kebab. Sfilacciati in campo ma tutta disciplina fuori. E troppo poco tempo nei ritagli dal lavoro per ricomporre la squadra. Il prossimo anno, forse. Chissà se ci sarà ancora l'allenatore del Ghana. Ebow Essien. La sua storia la didascalia forse più incisiva per le istantanee di vita di tanti dei giocatori del torneo. Venticinque anni fa era in Africa, ancora. Giocava. Con la sua nazionale, una nazionale vera, quella. E vinceva. Tanto da guadagnarsi l'ambita Coppa d'Africa. 18 marzo 1982. Ghana-Libia. Ghana vince ai rigori. Ed Ebow, sull'onda dell'entusiasmo, parte. Contrattato dall'Olympiakos Pireo. Si ritrova in Italia, con un impresario scappato con i soldi e un sogno da riporre nel cassetto, per dedicarsi alla carriera di operaio in Val Susa.
Brasiliani, colombiani, ecuadoreñi, peruviani, boliviani, paraguagi.

Un mondo a colori. Ronni, capitano della nazionale brasiliana, distribuisce biglietti da visita della palestra dove insegna capoeira. Sul retro l'insegna dell'impresa idraulica per cui fa lavoretti. Non figura nel suo biglietto, ma lo si legge nel suo modo di calciare: Ronni anche balla la sera i ritmi dei carnavales nel ristorante del suo mister e nelle churrascarie torinesi. Cinesi. Il portiere Tian Yu, definito da qualche malizioso giornalista "il più basso tra i bassi", e il capitano Ma Quianli che chiedono, al calcio d'inizio di Balon 2008, un minuto di silenzio e la benda nera al braccio per le vittime del terremoto dello Sichuan. Quasi tutti studenti del Politecnico, che in scambi programmati tra Fiat e Pechino iniziano a portare in giro altri volti, oltre a quelli odorosi dei ristoranti cinesi e di un'immigrazione nascosta e impenetrabile di una Cina di nuovo lontana dopo i riflettori olimpici. Albanesi, rumeni e moldavi. Anche la squadra del C.S.I. Calciatori Stati Indipendenti, di post-sovietica memoria. Andrei allena e attende che il suo titolo di studio medico venga convalidato, per poter lavorare come infermiere in una qualche clinica della zona. Ma i tempi son lunghi. Nel mentre l'arrivo, nel silenzio della clandestinità della fidanzata da Chisinau, un figlio, lavoretti saltuari, giri eterni in vespa o in bici per la città, tanta politica e fervore nel ricordare e spiegare comunioni linguistiche e identità nazionali di questa nuova Europa ad est.

Tutti assieme, dietro un pallone. Due squadre di stampo italiano, una mista - United Colors of Arci - e gli Azzurri. Quelli del quartiere e delle società di circoscrizione, a sfidare col calcio all'italiana i campioni in carica ivoriani e mettersi in gioco anche loro, sul campo e non solo, come padroni di casa e come ospiti. In tutti i sensi.
Da quest'anno anche argentini, maliani, eritrei, sudanesi, etiopici. Alcuni di loro sul loro tesserino sportivo avranno scritto Casa Bianca. Corso Peschiera. Mentre attendono una casa e si ancorano al loro stabile fatiscente, la ex-clinica San Paolo occupata da otto mesi. Rifugiati, perlopiù del Corno d'Africa, con permesso di soggiorno per asilo politico e speranze che oscillano tra Coordinamenti di solidarietà, Comune, Programmi SPRAR, corsi d'italiano e quotidianità. Mettono insieme una squadretta e invitano a prendere un tè a "casa" loro, chi vuole, per vedere, per capire. Perfino una squadra greco-turca, la "selezione della pace" per eccellenza di tutto il torneo.

Nuove cittadinanze. I nuovi cittadini, così si usa chiamarli. Immigrati. Migranti. Torinesi. Dalle origini un po' più esotiche. Gente che viene da lontano. Prime e seconde generazioni. Spalti assolati ricolmi di accenti misti che si mescolano in un italiano più o meno perfetto colorato dalle gerga di fuori e masticato insieme a tortillas, empanadas e dulces casalinghi tirati fuori da borse frigo mai vuote. La città che si cerca e ritrova in spazi e tempi comuni e condivisi. Nei tempi dilatati delle partite. Negli attimi sospesi dei rigori. Nei ritmi concitati di balli e percussioni che inframmezzano i match. Nelle radiocronache accelerate che inseguono i contropiedi. In domeniche di gioco e di svago, dove a essere intercettati son solo i palloni. E in cui stare vicini è più semplice che respingersi.
Balon Mundial è un torneo di calcio a 28 "nazionali" i cui protagonisti sono le comunità di migranti del territorio torinese, il calcio e lo sport, l'aggregazione che passa attraverso la sfida, la condivisione che si mescola al sudore, tra campi, spalti e spogliatoi. Balon Mundial è anche un "terzo tempo" di incontri e scambi culturali ai margini dei campi. La guida ai servizi sportivi della città, l'album di figurine dei giocatori tipo edizione Panini, la radiocronaca di speaker di quattro continenti con collegamenti in onda su Radio Flash (sulla frequenza 97.6). E un contest fotografico per ritrarre i tanti volti del Balon e altrettanti mo(n)di di fare integrazione.

da PeaceReporter

LA MAPPA DELLA MOVIDA


Con tutte le polemiche degli ultimi giorni i torinesi sembrano scoprire solo oggi, dopo anni di celebrazioni della rinascita della città, che c' è vita, anzi movida, a Torino. Da est a ovest, da Borgo Po al Quadrilatero, sono tantissimi i locali che animano la città. Discoteche, pub e fashion cafè, dalla "storica" "Drogheria" di piazza Vittorio all' esempio positivo del "Circolo Sud" di San Salvario, ecco la mappa della notte.

PIAZZA VITTORIO - Fino a metà degli anni Settanta ha ospitato il carnevale. Oggi è il centro della movida, con dieci locali, tra pub e fashion cafè, mentre nei paraggi ci sono posti dai prezzi "calmierati" come il Bemish o il Golden River, affollati da clienti dai 15 ai 30 anni. Il parcheggio sotterraneo e i capolinea del servizio notturno della Gtt hanno, secondo i residenti, aumentatoi disagi già provocati dalla marea di ragazzi riversati fuori dai locali: sporcizia, grida, litigie via dicendo. «Abbiamo chiesto inutilmente al Comune dei bagni pubblici», afferma Silvio Stortini, proprietario della "Drogheria", uno dei primi locali della piazza, aperto da sette anni. «I residenti dovrebbero collaborare con noi - dice - Chiamparino abita qua sopra, mi piacerebbe parlarci. Non è vero che gli immobili si stanno svalutando, anzi hanno acquistato valore. È la piazza più bella d' Italia».

MURAZZI- Centrali, ma non troppo vicini alle case, sono la tradizionale meta per tutti quelli che vogliono ballare, dai modaioli ai "punkabbestia". Le discoteche più note sono lo "storico" "Giancarlo", il "The Beach" e l' "Alcatraz". Recentemente sono un po' crisi e resta ancora aperto il problema dello spaccio e della microcriminalità.

SAN SALVARIO E VALENTINO - Era considerato il simbolo del degrado, oggi è un quartiere vivo con molti piccoli locali che, come sottolinea Matteo Zola, studente che ama il quartiere, «sono frequentati da persone "tranquille", meno legate all' apparenza, all' abbigliamento». Il "Biberon", lo "Sbarco", il "Diwan": sono alcuni dei luoghi di ritrovo. Ma i residenti protestano ancora. Dopo l' ordinanza comunale che obbliga il "Biberon" a chiudere entro mezzanotte, è scontro tra Sergio Bigiordi, il proprietario della rhumeria, e gli abitanti: «Con i residenti è impossibile parlare, non gli interessa discutere le soluzioni, ma solo lamentarsi: ora parleranno gli avvocati». L' età media dei ragazzi che frequentano il quartiere va dai 20 ai 35 anni, soprattutto universitari. «Bisogna trovare una soluzione che garantisca entrambi», afferma Mario Cornelio Levi, presidente della circoscrizione 8. «Proporremo un incontro tra gestori e vigili per vedere come risolvere il problema movida, capire il perché i proprietari non riescano a far rispettare le regole. Non servire alcool ai minorenni sarebbe già qualcosa». Levi cita l' esempio positivo del "Circolo Sud", in via Principe Tommaso, con il "patto di solidarietà" tra residenti e proprietari. Andando verso il Po, con l' estate, riaprono anche le discoteche del Valentino: il "Cacao", lo "Chalet" e il "Life", con una clientela diversa da quella di San Salvario. Il "Life" è frequentato dagli studenti, mentre lo "Chalet" è più esclusivo, «ci va gente elegante, ragazzi in camicia e ragazze tutte in tiro», racconta Alessandro Rosati, studente del Politecnico. Il Cacao è uno di quelli che hanno affluenza maggiore, «dopo mezzanotte ci sono code chilometriche».

QUADRILATERO- «Piazza Emanuele Filiberto è stata rivalorizzata, è caratteristica e piena di locali. Il mio preferito è lo "Shore" e il suo aperitivo con cibi elaborati e freschi. Direi proprio che è un posto che fa tendenza». Giovanna Boglietti, studentessa, frequenta spesso il Quadrilatero, un dedalo di vie, piccole enoteche e locali chic. Oltre allo "Shore", ci sono il "Pastis" e il "Km 5". Anche il personale dei locali è spesso di giovane età, e la clientela spazia dagli universitari alle giovani coppie con carrozzine al seguito. «Abbiamo avuto la fortuna di nascere da zero - racconta Andrea Tortorella, proprietario del "Pastis" - e chi è venuto a vivere qui sapeva come è il quartiere». Con gli abitanti c' è una buona intensa: «Residenti e commercianti collaborano per mantenere buone le condizioni della zona». Alcune strade sono diventate sensi unici, la piazza la notte è chiusa al traffico e ora «stiamo cercando di rendere pedonale la zona». Nonostante il flusso di gente, l' attenzione per l' ordine evita altri problemi: «È nel nostro interesse mantenere gli ambienti puliti, visto che alcuni locali riaprono per il pranzo. E l' Amiat fa un ottimo lavoro».

VANCHIGLIA - I residenti stavano abbandonando questa zona, diventata poi attrattiva per gli immigrati e, dopo, i giovani che se ne stanno riappropriando. «È un cambiamento positivo», dice Piero Ramasso, presidente della circoscrizione 7, anche se, afferma, qualche disagio c' è. «In piazza Santa Giulia affluiscono molti studenti grazia a quattro nuovi circoli, e considerando che lì vicino c' è il mercato dall' alba per tutta la giornata, si crea un contrasto con i residenti». «La città sta diventando un grande polo universitario, e bisogna considerare le migliaia di studenti che hanno bisogno di svaghi e che vanno "educati" a non disturbare troppo».

DOCKS DORA - Un' ex zona industriale e dei vecchi depositi ferroviari lungo via Valprato riastrutturati per ospitare discoteche e cocktail bar di tendenza. C' è il "Duert", dove si può cucinare in compagnia degli amici, lo "Zoo Bar" che in un loft propone discoteca e spazi per concerti di vari generi, e il "Café Blue", locale "storico", ma sempre all' avanguardia.

sabato 20 giugno 2009

IMPROVVISAMENTE TROPPO TARDI


di Adriano Sofri

Tutt’a un tratto, il modo di camminare di B. sembra agli spettatori dei telegiornali buffo, e benché avanzi con un passo studiatamente spedito, come chi faccia intendere di avere molto da fare, e cose della massima urgenza universale, più che avanzare sembra squagliarsela. E più che camminare cadere da una gamba all’altra. Giuliano Ferrara ha indirizzato ieri a B. dalla prima pagina del Foglio una scintillante lettera aperta (ah, quanto ho aspettato di lodare Giuliano F. su queste colonne!), con un titolo definitivo: “Il 24 luglio”. Chissà se B. ha inquadrato fin dal titolo di che cosa si trattasse, o la sua felice smemoratezza – come quella volta che, avvertito di papà Cervi, si offrì subito di andarlo a trovare – gli ha attutito il colpo. Chissà se ha chiesto ai vicini (era in giro per l’Europa, ieri) che cosa diavolo significasse il 24 luglio, e chissà che cosa si siano ingegnati di rispondergli. Il giorno prima del 25 luglio, gli avranno detto, o anche, dopotutto, il giorno dopo il 23. Era il 1943, c’era una guerra spaventosa, mucchi di morti a milioni, il bombardamento di San Lorenzo era avvenuto cinque giorni prima. Non scherziamo, paragoni così non li fa Giuliano F., non li fa nessuno. Le nostre sono bazzecole. Non la caduta di un dittatore, promessa di liberazione e intanto preludio a un nuovo disonore e a una carneficina: semplicemente, la tragedia di un uomo ridicolo. La vigilia della fine di un commesso viaggiatore. Escluso l’accostamento che suonerebbe oltraggioso, l’invenzione di Giuliano F. è la più suggestiva. È una storia italiana. La storia del capovolgimento repentino di un successo, il naufragio – per evocare un’immagine più appropriata al protagonista – di una nave da crociera sulla quale si raccontavano barzellette fesse e si ballava sfrenatamente fino a un momento fa, e un momento dopo i topi corrono già al punto di raccolta delle scialuppe. Varrà la pena di fendere la calca dei naufraghi fino a guadagnarsi lo sguardo migliore dal ponte, come un Plinio curioso di scrutare un’ennesima prova della natura umana. Qualcuno resterà accanto al capo che va a fondo (qualcuno resta sempre, e non è detto che siano i peggiori). Qualcuno se la darà a gambe, il più lontano possibile (l’ambasciata tedesca a Roma, annoterà un gerarca nazista, diventò in quella fine di luglio una affollatissima agenzia di viaggi). Qualcuno prenderà la prima fila nel ripudio del capo che vacilla – nel codardo oltraggio, diciamo così. Ammesso che non si ricordi bene come andarono le cose il 24 luglio del 1943 – e poi il 25 luglio del 1943 – B. si ricorda senz’altro come sono andate col tracollo della Prima Repubblica, del quale, in fondo, è stato il paradossale beneficiario per tanti anni: ancora un po’, e avrebbe toccato anche lui il ventennio.

È qui il primo difetto veniale dell’invenzione di Giuliano F.: la formula del “24 luglio permanente”. “Altrimenti – ha scritto – si andrà avanti con questo 24 luglio permanente”. Credo di no. Come nella chimica delle cristallizzazioni, quella degli amori che nascono e degli amori che muoiono secondo Stendhal, c’è la precipitazione, e il 24 luglio è la precipitazione. Dura poco, quando arriva, il 24 luglio. E, non per allarmare ancora di più B., cui auguro un commiato confortevole, ma il 24 luglio non fu nemmeno una vera vigilia: la riunione del Gran Consiglio del fascismo cominciò quel pomeriggio, con la relazione di M., e finì alle tre di notte. Il 25 luglio sì, ma solo per tre ore. Poi venne il pomeriggio, la visita di M. al re, il suo congedo in soli venti minuti, il suo umiliante arresto in una “lercia autoambulanza” all’uscita. Che una febbre improvvisa attraversi una maggioranza parlamentare “introvabile” fino a ieri per l’ampiezza e, per così dire, l’allegra superfluità, si spiega con quell’antica e rinnovata memoria di naufragi e ribaltoni e 25 lugli e hotel Raphael. Si dovrebbe scattarne un’istantanea, della larga maggioranza, per studiare l’inclinazione dello sguardo di ciascuno: verso il capo, verso il vicino, verso l’uscita di sicurezza più prossima. Nella notte del Gran Consiglio, nel breve trapasso fra il 24 e il 25 luglio, diciannove votarono contro M., sette a favore, uno si astenne. Giochi fatti. Succede così, quando si apre una crepa, e non viene rimarginata. Intendiamoci, questi sono ancora pieni di soldi e di bischerate. Però si può già, senza iattanza – sono sempre loro che tengono il coltello per il telecomando – immaginarne le mosse. Che misure starà prendendo fra sé e sé un intrepido avvocato difensore secondo il quale – ancora alla data di ieri – B. non pagherebbe mai una donna, avendone “grandi quantitativi”? Duri quanto duri la notte del 24 luglio, l’epitaffio è già stato dettato. Quella che ballava fino a un momento fa era l’Italia dei grandi quantitativi, di donne e di tutto. Meglio che sul solito Titanic, come i magnati e i magnaccia sull’incrociatore Aurora.

Erano altri tempi, il 24 luglio, e le veline erano ancora tassativi fogli di istruzione per i mezzi di comunicazione, non ragazze ammucchiate nella stanza adiacente alle istituzioni. Maria José, che era la moglie dell’erede al trono ma detestava il fascismo e aveva a che fare con inglesi e americani e bravi monsignori, fu tuttavia disgustata dalla rapidità con cui “la gente buttava giù le statue e i busti di Mussolini, i fasci littori, le aquile e tutte le insegne del regime… Soltanto ieri lo avevano osannato, ora lo condannavano furiosamente”. 
La crepa si era aperta da un po’, del resto. Dino Grandi, che fu poi il promotore dell’ordine del giorno – della notte – del 25 luglio, aveva già trovato “terrea” la faccia del duce. Difficile trovare terrea quella di B. – c’è da scavare – ma l’impressione è quella. Lo guardavo mentre il ministro della Giustizia, parlando dello stato delle carceri (si può anche scrivere maiuscolo: lo Stato delle carceri), rivolto alla sedia sulla quale era seduto come sulle spine, lo chiamava “sostenitore e testimone di una nuova moralità politica”.

Dov’è l’altro punto debole, direi, della lettera aperta di Giuliano F.? Nella conclusione: “Ora tocca a lui tirarsi su da questa incredibile condizione di minorità civile in cui si è ficcato, e reagire con scrupolo, intelligenza e forza d’animo”. Mettiamo che B., ieri mattina, leggesse, e dopo aver fatto tutti gli scongiuri che un necrologio politico come quello suggerisce alla superstizione di un uomo di Stato, e dopo aver chiesto in giro che accidenti è successo il 24 luglio, chiamasse Giuliano F. e gli chiedesse francamente: “Va bene, ho capito, ma che cosa devo fare? Se tu fossi nei miei panni, che cosa faresti?” Credo – stavo per dire “temo”, ma non lo temo affatto – che il lungimirante Giuliano non avrebbe avuto molto da dirgli, perché si è fatto improvvisamente troppo tardi. Il 23 si ballava e non c’era tempo per pensare, e l’alba del 25 si annuncia già con un rumore di autoambulanze. Gli avrebbe potuto dire di lasciare la politica: dopotutto non è mai stato l’affar suo, non ha mai preso gli ordini, ha fatto una sua parte colossale, ha un’età (questo non è facile da dirgli), una famiglia di cui rimontare i pezzi, luoghi meravigliosi in cui abbronzarsi davvero e, con precauzioni minime, scansare i fotografi. E provare, con un dignitoso congedo, a far continuare qualcosa: dopotutto Gianni Letta è da sempre lì per questo. Per una uscita del genere, venti minuti al Quirinale sarebbero perfino troppi. Certo, c’è sempre la minaccia dei maramaldi del giorno dopo. Oppure resistere (resistere, resistere, eccetera), ma alla condizione di dire agli italiani: “L’ho fatta grossa, sono un tipo così, la politica non fa per me, però mi piace governare. Mi piacciono troppo altre cose di cui ormai sapete, e di quelle mi scuso”. Potrebbe anche, abbastanza a buon diritto, fare una vasta chiamata di correo: “Io sono un tipo così, ho questo benedetto tic, ma chi è senza peccato si alzi e scagli la sua pietra. E per giunta voi non avete nemmeno il mio tic: siete stati accucciati sotto la mia tavola a ingrassare degli avanzi”. Pensiero ingiusto, è pieno di gente perbene e libera. Come al solito, nessuno si alzerebbe, e tanti si terrebbero cara la propria pietra, e la propria monetina, per il momento, non si sa mai, in cui dargli il benservito. Succede così, nel basso impero. E questo non è impero, ma basso sì.

da www.wittgenstein.it

venerdì 19 giugno 2009

GLI OCCHI DI LOLA


di Moises Disante

In una scatola si mescola il mio passato di foglie secche e la notte intimorito sento lo sgretolarsi di milioni di denti

La Villa sovraesposta vomita la vergogna dei giorni che mi son perso aspettando brevemente il silenzio del giorno dopo

Gravida di polvere spinge come giovane partoriente sperando che io afferri un respiro ansimante

ma la delicatezza di un battito non trova pace tra i mie capelli ed i colori nascondono alchimie che si svelano solo a pochi

Il disprezzo di un cane incatenato non ammette esitazione perchè Lola ora dorme sotto il peso di una Villa che è scomparsa

delicatamente

impacchettata

All’ombra di un ripostiglio fissa scarafaggi non più metallici e dallo splendore di una serata in giardino anche io mi porto frastornato il ricordo dei soldati

Se la notte non coprisse i nostri passi, avrebbe senso che ora noi uscissimo? Tutto mi dice che un attimo è bastato e che il mio sangue ancora scorre nelle vene dei miei amici

Ma ora dispersi come al vento, i loro desideri in capo al mondo…

dal blog Villa Telesio

giovedì 18 giugno 2009

APPUNTI PER UN QUOTIDIANO DA FARE


dal blog di Luca Sofri

Quando chiamano dal calendario Pirelli per dire che loro pagano un viaggio in Polinesia a un giornalista se voi poi pubblicate un pezzo sullo stantìo e insignificante calendario Pirelli, e vi danno delle foto con tante tette così voi potete mettere delle foto con tante tette con la scusa che state facendo cultura perché il calendario Pirelli sarebbe cultura, beh, quando chiamano la risposta è: grazie, non ci interessa, buon lavoro