venerdì 26 giugno 2009

UN VIAGGIO OLTRE LA CRISI


Il turismo come antidoto alla crisi economica. Nella città della Fiat e nella regione della Ferrero, sembrerebbe un’affermazione quasi paradossale. Eppure, leggendo i numeri e i dati elencati da esperti del settore riuniti in convegno a Torino, il comparto turistico sembra avere le potenzialità per assolvere questo compito.

Dal 2000 a oggi, i flussi turistici hanno visto in Piemonte un aumento del 43% delle presenze e di oltre il 37% degli arrivi, con oltre 11 milioni di pernottamenti. Significativi anche i numeri sul turismo internazionale: nell’ultimo decennio hanno raggiunto il 33% degli arrivi e 35% delle presenze, mentre la media italiana si è attestata sul 35 e sul 30%. Indagini realizzate in Piemonte tra il 2007 e il 2008 parlano d’altronde chiaro: il turismo vale oltre 6 miliardi di euro, con un’incidenza del 5% sul Pil regionale. Montagne, laghi, colline e città d’arte: diversificare l’offerta risulta decisivo. Torino da sola conta il 25,5% delle presenze regionali.

«Al di là della crisi conta capire le caratteristiche di un paese - afferma Daniel John Winteler, presidente di Federturismo - perché il turismo non è solo strutture ricettive, serve un approccio più industriale e meno localistico». Più o meno le stesse richieste di Ferruccio Dardanelli, presidente di Unioncamere: «E’ giusto ricordare i dati positivi, ma non bisogna fermarsi lì e continuare a investire in marketing e pubblicità».

Tra gennaio 2008 e maggio 2009 la spesa dei turisti in Piemonte è scesa, secondo i dati dell’Isnart, del 4,9%. Eppure nel primo trimestre di quest’anno è cresciuta la clientela italiana: dal 69,1% al 73,3%. A spendere di più sono i turisti “enogastronomici”, con una media di 140 euro, mentre il turista “congressuale”, che secondo Alessandro Altamura, assessore comunale al turismo, «va incentivato a tornare», spende in media 111 euro.

martedì 23 giugno 2009

LETTERA APERTA AD AUGUSTO MINZOLINI


dal blog Nonunacosaseria

Caro Minzolini,

stasera Lei ha dichiarato che il TG1, circa la ben nota vicenda barese, “ha assunto una posizione prudente” perché “dietro questa storia piena di allusioni, testimoni più o meno attendibili e rancori personali non c’è ancora una notizia certa”.
Ora, a parte il fatto che di notizie certe ce ne sono parecchie (ragazze pagate per andare alle feste a Palazzo Grazioli che entravano lì – e magari si fermavano anche a dormire – senza nemmeno essere sottoposte a controlli; una visione del potere eticamente discutibile a prescindere dall’atto sessuale; una gestione dell’attività aziendale basata non sulla validità dell’idea imprenditoriale, ma sulla capacità di allietare il Capo del Governo; faccio solo tre esempi certi e confermati, ma potremmo continuare), la mia domanda riguarda il Suo privato, egregio Direttore. Ossia: non Le fischiavano le sue auguste orecchie mentre pronunciava questa frase? Ma come: Augusto Minzolini, il re del gossip politico e della dichiarazione non verificabile, magari da fonte anonima, oggi non riferisce una notizia perché trattasi di gossip e non è accertata? Si rende conto che così facendo mette in discussione un buon 90% degli articoli da Lei scritti negli ultimi diciotto anni?

Lei ha pure aggiunto che “in passato si tentò di colpire Prodi strumentalizzando la foto che ritraeva un suo collaboratore in una situazione definita scabrosa”. All’epoca, però, Lei scrisse, su Panorama, quanto segue: “…il garante è intervenuto solo quando è venuta fuori la notizia della foto del portavoce di Prodi, Silvio Sircana, che scherzava con un trans. Sui giornali non andrà più nulla dei veleni che condizionano la classe dirigente. Alla faccia della democrazia”. Quel che all’epoca veniva da Lei ritenuto diritto di cronaca, oggi è una volgare strumentalizzazione per colpire Prodi. Quel che all'epoca era una sorta di attentato alla democrazia, oggi è lecito praticarlo perché puro gossip. Cosa è avvenuto da farle cambiare idea? Il fatto che al centro della polemica ci sia Berlusconi?

Lei ha detto che “in queste settimane è stata messa sotto i riflettori la vita privata del premier in nome di un improvviso moralismo (…) queste strumentalizzazioni, questi processi mediatici non hanno nulla a che vedere con l’informazione del servizio pubblico”. Eh no! Mi permetta di dissentire. Potrei parafrase un noto editorialista di Panorama di nome Augusto Minzolini che – criticando Prodi che non andava in tv durante la campagna elettorale del 2006 - scriveva “l’opinione pubblica ha diritto di sapere chi è che guida il Paese, come reagisce in situazioni diverse, come si comporta nelle trasmissioni politiche, ma anche da Biscardi e da Bonolis”. Ma non è questo il punto, Direttore. Il punto è che qui non stiamo scandagliando la vita privata di una persona, e una persona qualunque. Qui stiamo aprendo uno squarcio su come un Capo di Governo si rapporta con le persone che lo circondano, si espone a ricatti e a “veleni che condizionano la classe dirigente”, gestisce le relazioni e il potere che, pro tempore, gli viene affidato.
In parole povere: se Berlusconi si vuole trombare un tegame anziché la moglie, è libero di farlo, son cavoli suoi. Ma se (giusto per dirne una e nemmeno la più rilevante) Berlusconi, in cambio della trombata, promette una variante urbanistica, siamo al di là del privato, al di là del gossip, al di là del moralismo. La questione è pubblica. Pubblicissima.

Infine, un’ultima domanda. Lei che è tanto bravo da non confondersi con il gossip e sta attento solamente alle notizie, pensa che quei quattro milioni di italiani che si informano solamente guardando il TG1 abbiano capito qualcosa di quel che sta avvenendo a Bari con il servizio che il telegiornale da Lei diretto ha proposto stasera?
Vuole che ricapitoli i passaggi salienti di quel servizio? Bene: l’intero primo minuto (su due e dieci totali) è dedicato alla dichiarazione dell’avvocato di Giampaolo Tarantini (senza specificare chi sia costui se non dopo un minuto e quindici secondi). Dopodiché si sottolinea che il nome che “ricorre più frequentemente nelle intercettazioni è quello di Alessandro Frisullo del Partito Democratico” e si aggiunge che, per avere rapporti con il potere, Tarantini ha l’abitudine di organizzare feste di qua, di là, di su e di giù fino ad arrivare molto in alto, al Presidente del Consiglio. Il giornalista spiega infine che la teste principale, Patrizia D’Addario, ha raccontato di due di queste feste a Palazzo Grazioli e quel che inquieta la Procura di Bari è che costei ha “offerto prove fotografiche della sua presenza” perché ciò ha a che fare con “il mancato controllo in luoghi considerati residenze di Stato”.
E secondo Lei, come ha poi riferito il conduttore Attilio Romita, questa così descritta sarebbe “la vicenda che in questi giorni ha sollevato polemiche anche di natura politica"?

lunedì 22 giugno 2009

C.S.I CALCIATORI STATI INDIPENDENTI


di Francesca Biglia

Via Spazzapan. Zona Lingotto. La Torino assolata d'inizio estate. Tanti sguardi, fischi, musica, fremiti all'incrociarsi di maglie e gambe che cercano l'incrocio dei pali. L'anno scorso. L'anno ancora prima. Quest'anno ancora una volta.
Balon Mundial, il primo mondiale per migranti di Torino. Uno dei modi - e tanti mondi - per dire calcio. E per fare integrazione. In questi giorni in cui l'Europa si ridisegna nelle sue paure e l'Italia mette in campo, tra le sponde del Mediterraneo, nuove strategie d'intercettazione e respingimento. Da tre anni, mentre altrove si gioca il calcio dei professionisti, di quelli pagati e affermati, il calcio dei riflettori e degli scandali, a Torino si fa il gioco di chi la città la vive, la suda, la (ri)popola e l'anima. Il football "senza frontiere", scriveva qualcuno, "il football della nostra memoria felice". Quattro week-end di calcio, dal 13 giugno al 5 luglio. Cinquanta partite. Più una finale interregionale contro le vincenti di altri "simil Balon" a Genova, Milano e Bresciano. Un gruppo di 28 squadre, provenienti da 28 Paesi. Una città. E quasi seicento giocatori. Lavoratori con la passione (e a volte o un tempo la professione) del pallone, che in una manciata di fine settimana d'inizio estate vestono le maglie della loro "nazionale". Marocchini, senegalesi, tunisini, ivoriani, nigeriani, ghanesi, congolesi (Brazzaville e Repubblica Democratica), camerunensi.

Storie di vita e di pallone. Moustapha, numero 1 del Senegal, ambulante, oggi glutei meno affusolati e qualche chilo in più sulle spalle, ha un passato in nazionale under 21 e tante promesse tra mani e guantoni da raccontare. Oltre che un conto aperto con i rigori che son costati alla sua "nazionale torinese", nonostante tutti i Gri-Gri, la coppa della prima edizione. Mancano gli egiziani, quest'anno. Il kebab-team. Allenamenti mattutini al parco del Valentino, dopo le preghiere in moschea e prima dei turni al Kebab. Sfilacciati in campo ma tutta disciplina fuori. E troppo poco tempo nei ritagli dal lavoro per ricomporre la squadra. Il prossimo anno, forse. Chissà se ci sarà ancora l'allenatore del Ghana. Ebow Essien. La sua storia la didascalia forse più incisiva per le istantanee di vita di tanti dei giocatori del torneo. Venticinque anni fa era in Africa, ancora. Giocava. Con la sua nazionale, una nazionale vera, quella. E vinceva. Tanto da guadagnarsi l'ambita Coppa d'Africa. 18 marzo 1982. Ghana-Libia. Ghana vince ai rigori. Ed Ebow, sull'onda dell'entusiasmo, parte. Contrattato dall'Olympiakos Pireo. Si ritrova in Italia, con un impresario scappato con i soldi e un sogno da riporre nel cassetto, per dedicarsi alla carriera di operaio in Val Susa.
Brasiliani, colombiani, ecuadoreñi, peruviani, boliviani, paraguagi.

Un mondo a colori. Ronni, capitano della nazionale brasiliana, distribuisce biglietti da visita della palestra dove insegna capoeira. Sul retro l'insegna dell'impresa idraulica per cui fa lavoretti. Non figura nel suo biglietto, ma lo si legge nel suo modo di calciare: Ronni anche balla la sera i ritmi dei carnavales nel ristorante del suo mister e nelle churrascarie torinesi. Cinesi. Il portiere Tian Yu, definito da qualche malizioso giornalista "il più basso tra i bassi", e il capitano Ma Quianli che chiedono, al calcio d'inizio di Balon 2008, un minuto di silenzio e la benda nera al braccio per le vittime del terremoto dello Sichuan. Quasi tutti studenti del Politecnico, che in scambi programmati tra Fiat e Pechino iniziano a portare in giro altri volti, oltre a quelli odorosi dei ristoranti cinesi e di un'immigrazione nascosta e impenetrabile di una Cina di nuovo lontana dopo i riflettori olimpici. Albanesi, rumeni e moldavi. Anche la squadra del C.S.I. Calciatori Stati Indipendenti, di post-sovietica memoria. Andrei allena e attende che il suo titolo di studio medico venga convalidato, per poter lavorare come infermiere in una qualche clinica della zona. Ma i tempi son lunghi. Nel mentre l'arrivo, nel silenzio della clandestinità della fidanzata da Chisinau, un figlio, lavoretti saltuari, giri eterni in vespa o in bici per la città, tanta politica e fervore nel ricordare e spiegare comunioni linguistiche e identità nazionali di questa nuova Europa ad est.

Tutti assieme, dietro un pallone. Due squadre di stampo italiano, una mista - United Colors of Arci - e gli Azzurri. Quelli del quartiere e delle società di circoscrizione, a sfidare col calcio all'italiana i campioni in carica ivoriani e mettersi in gioco anche loro, sul campo e non solo, come padroni di casa e come ospiti. In tutti i sensi.
Da quest'anno anche argentini, maliani, eritrei, sudanesi, etiopici. Alcuni di loro sul loro tesserino sportivo avranno scritto Casa Bianca. Corso Peschiera. Mentre attendono una casa e si ancorano al loro stabile fatiscente, la ex-clinica San Paolo occupata da otto mesi. Rifugiati, perlopiù del Corno d'Africa, con permesso di soggiorno per asilo politico e speranze che oscillano tra Coordinamenti di solidarietà, Comune, Programmi SPRAR, corsi d'italiano e quotidianità. Mettono insieme una squadretta e invitano a prendere un tè a "casa" loro, chi vuole, per vedere, per capire. Perfino una squadra greco-turca, la "selezione della pace" per eccellenza di tutto il torneo.

Nuove cittadinanze. I nuovi cittadini, così si usa chiamarli. Immigrati. Migranti. Torinesi. Dalle origini un po' più esotiche. Gente che viene da lontano. Prime e seconde generazioni. Spalti assolati ricolmi di accenti misti che si mescolano in un italiano più o meno perfetto colorato dalle gerga di fuori e masticato insieme a tortillas, empanadas e dulces casalinghi tirati fuori da borse frigo mai vuote. La città che si cerca e ritrova in spazi e tempi comuni e condivisi. Nei tempi dilatati delle partite. Negli attimi sospesi dei rigori. Nei ritmi concitati di balli e percussioni che inframmezzano i match. Nelle radiocronache accelerate che inseguono i contropiedi. In domeniche di gioco e di svago, dove a essere intercettati son solo i palloni. E in cui stare vicini è più semplice che respingersi.
Balon Mundial è un torneo di calcio a 28 "nazionali" i cui protagonisti sono le comunità di migranti del territorio torinese, il calcio e lo sport, l'aggregazione che passa attraverso la sfida, la condivisione che si mescola al sudore, tra campi, spalti e spogliatoi. Balon Mundial è anche un "terzo tempo" di incontri e scambi culturali ai margini dei campi. La guida ai servizi sportivi della città, l'album di figurine dei giocatori tipo edizione Panini, la radiocronaca di speaker di quattro continenti con collegamenti in onda su Radio Flash (sulla frequenza 97.6). E un contest fotografico per ritrarre i tanti volti del Balon e altrettanti mo(n)di di fare integrazione.

da PeaceReporter

LA MAPPA DELLA MOVIDA


Con tutte le polemiche degli ultimi giorni i torinesi sembrano scoprire solo oggi, dopo anni di celebrazioni della rinascita della città, che c' è vita, anzi movida, a Torino. Da est a ovest, da Borgo Po al Quadrilatero, sono tantissimi i locali che animano la città. Discoteche, pub e fashion cafè, dalla "storica" "Drogheria" di piazza Vittorio all' esempio positivo del "Circolo Sud" di San Salvario, ecco la mappa della notte.

PIAZZA VITTORIO - Fino a metà degli anni Settanta ha ospitato il carnevale. Oggi è il centro della movida, con dieci locali, tra pub e fashion cafè, mentre nei paraggi ci sono posti dai prezzi "calmierati" come il Bemish o il Golden River, affollati da clienti dai 15 ai 30 anni. Il parcheggio sotterraneo e i capolinea del servizio notturno della Gtt hanno, secondo i residenti, aumentatoi disagi già provocati dalla marea di ragazzi riversati fuori dai locali: sporcizia, grida, litigie via dicendo. «Abbiamo chiesto inutilmente al Comune dei bagni pubblici», afferma Silvio Stortini, proprietario della "Drogheria", uno dei primi locali della piazza, aperto da sette anni. «I residenti dovrebbero collaborare con noi - dice - Chiamparino abita qua sopra, mi piacerebbe parlarci. Non è vero che gli immobili si stanno svalutando, anzi hanno acquistato valore. È la piazza più bella d' Italia».

MURAZZI- Centrali, ma non troppo vicini alle case, sono la tradizionale meta per tutti quelli che vogliono ballare, dai modaioli ai "punkabbestia". Le discoteche più note sono lo "storico" "Giancarlo", il "The Beach" e l' "Alcatraz". Recentemente sono un po' crisi e resta ancora aperto il problema dello spaccio e della microcriminalità.

SAN SALVARIO E VALENTINO - Era considerato il simbolo del degrado, oggi è un quartiere vivo con molti piccoli locali che, come sottolinea Matteo Zola, studente che ama il quartiere, «sono frequentati da persone "tranquille", meno legate all' apparenza, all' abbigliamento». Il "Biberon", lo "Sbarco", il "Diwan": sono alcuni dei luoghi di ritrovo. Ma i residenti protestano ancora. Dopo l' ordinanza comunale che obbliga il "Biberon" a chiudere entro mezzanotte, è scontro tra Sergio Bigiordi, il proprietario della rhumeria, e gli abitanti: «Con i residenti è impossibile parlare, non gli interessa discutere le soluzioni, ma solo lamentarsi: ora parleranno gli avvocati». L' età media dei ragazzi che frequentano il quartiere va dai 20 ai 35 anni, soprattutto universitari. «Bisogna trovare una soluzione che garantisca entrambi», afferma Mario Cornelio Levi, presidente della circoscrizione 8. «Proporremo un incontro tra gestori e vigili per vedere come risolvere il problema movida, capire il perché i proprietari non riescano a far rispettare le regole. Non servire alcool ai minorenni sarebbe già qualcosa». Levi cita l' esempio positivo del "Circolo Sud", in via Principe Tommaso, con il "patto di solidarietà" tra residenti e proprietari. Andando verso il Po, con l' estate, riaprono anche le discoteche del Valentino: il "Cacao", lo "Chalet" e il "Life", con una clientela diversa da quella di San Salvario. Il "Life" è frequentato dagli studenti, mentre lo "Chalet" è più esclusivo, «ci va gente elegante, ragazzi in camicia e ragazze tutte in tiro», racconta Alessandro Rosati, studente del Politecnico. Il Cacao è uno di quelli che hanno affluenza maggiore, «dopo mezzanotte ci sono code chilometriche».

QUADRILATERO- «Piazza Emanuele Filiberto è stata rivalorizzata, è caratteristica e piena di locali. Il mio preferito è lo "Shore" e il suo aperitivo con cibi elaborati e freschi. Direi proprio che è un posto che fa tendenza». Giovanna Boglietti, studentessa, frequenta spesso il Quadrilatero, un dedalo di vie, piccole enoteche e locali chic. Oltre allo "Shore", ci sono il "Pastis" e il "Km 5". Anche il personale dei locali è spesso di giovane età, e la clientela spazia dagli universitari alle giovani coppie con carrozzine al seguito. «Abbiamo avuto la fortuna di nascere da zero - racconta Andrea Tortorella, proprietario del "Pastis" - e chi è venuto a vivere qui sapeva come è il quartiere». Con gli abitanti c' è una buona intensa: «Residenti e commercianti collaborano per mantenere buone le condizioni della zona». Alcune strade sono diventate sensi unici, la piazza la notte è chiusa al traffico e ora «stiamo cercando di rendere pedonale la zona». Nonostante il flusso di gente, l' attenzione per l' ordine evita altri problemi: «È nel nostro interesse mantenere gli ambienti puliti, visto che alcuni locali riaprono per il pranzo. E l' Amiat fa un ottimo lavoro».

VANCHIGLIA - I residenti stavano abbandonando questa zona, diventata poi attrattiva per gli immigrati e, dopo, i giovani che se ne stanno riappropriando. «È un cambiamento positivo», dice Piero Ramasso, presidente della circoscrizione 7, anche se, afferma, qualche disagio c' è. «In piazza Santa Giulia affluiscono molti studenti grazia a quattro nuovi circoli, e considerando che lì vicino c' è il mercato dall' alba per tutta la giornata, si crea un contrasto con i residenti». «La città sta diventando un grande polo universitario, e bisogna considerare le migliaia di studenti che hanno bisogno di svaghi e che vanno "educati" a non disturbare troppo».

DOCKS DORA - Un' ex zona industriale e dei vecchi depositi ferroviari lungo via Valprato riastrutturati per ospitare discoteche e cocktail bar di tendenza. C' è il "Duert", dove si può cucinare in compagnia degli amici, lo "Zoo Bar" che in un loft propone discoteca e spazi per concerti di vari generi, e il "Café Blue", locale "storico", ma sempre all' avanguardia.

sabato 20 giugno 2009

IMPROVVISAMENTE TROPPO TARDI


di Adriano Sofri

Tutt’a un tratto, il modo di camminare di B. sembra agli spettatori dei telegiornali buffo, e benché avanzi con un passo studiatamente spedito, come chi faccia intendere di avere molto da fare, e cose della massima urgenza universale, più che avanzare sembra squagliarsela. E più che camminare cadere da una gamba all’altra. Giuliano Ferrara ha indirizzato ieri a B. dalla prima pagina del Foglio una scintillante lettera aperta (ah, quanto ho aspettato di lodare Giuliano F. su queste colonne!), con un titolo definitivo: “Il 24 luglio”. Chissà se B. ha inquadrato fin dal titolo di che cosa si trattasse, o la sua felice smemoratezza – come quella volta che, avvertito di papà Cervi, si offrì subito di andarlo a trovare – gli ha attutito il colpo. Chissà se ha chiesto ai vicini (era in giro per l’Europa, ieri) che cosa diavolo significasse il 24 luglio, e chissà che cosa si siano ingegnati di rispondergli. Il giorno prima del 25 luglio, gli avranno detto, o anche, dopotutto, il giorno dopo il 23. Era il 1943, c’era una guerra spaventosa, mucchi di morti a milioni, il bombardamento di San Lorenzo era avvenuto cinque giorni prima. Non scherziamo, paragoni così non li fa Giuliano F., non li fa nessuno. Le nostre sono bazzecole. Non la caduta di un dittatore, promessa di liberazione e intanto preludio a un nuovo disonore e a una carneficina: semplicemente, la tragedia di un uomo ridicolo. La vigilia della fine di un commesso viaggiatore. Escluso l’accostamento che suonerebbe oltraggioso, l’invenzione di Giuliano F. è la più suggestiva. È una storia italiana. La storia del capovolgimento repentino di un successo, il naufragio – per evocare un’immagine più appropriata al protagonista – di una nave da crociera sulla quale si raccontavano barzellette fesse e si ballava sfrenatamente fino a un momento fa, e un momento dopo i topi corrono già al punto di raccolta delle scialuppe. Varrà la pena di fendere la calca dei naufraghi fino a guadagnarsi lo sguardo migliore dal ponte, come un Plinio curioso di scrutare un’ennesima prova della natura umana. Qualcuno resterà accanto al capo che va a fondo (qualcuno resta sempre, e non è detto che siano i peggiori). Qualcuno se la darà a gambe, il più lontano possibile (l’ambasciata tedesca a Roma, annoterà un gerarca nazista, diventò in quella fine di luglio una affollatissima agenzia di viaggi). Qualcuno prenderà la prima fila nel ripudio del capo che vacilla – nel codardo oltraggio, diciamo così. Ammesso che non si ricordi bene come andarono le cose il 24 luglio del 1943 – e poi il 25 luglio del 1943 – B. si ricorda senz’altro come sono andate col tracollo della Prima Repubblica, del quale, in fondo, è stato il paradossale beneficiario per tanti anni: ancora un po’, e avrebbe toccato anche lui il ventennio.

È qui il primo difetto veniale dell’invenzione di Giuliano F.: la formula del “24 luglio permanente”. “Altrimenti – ha scritto – si andrà avanti con questo 24 luglio permanente”. Credo di no. Come nella chimica delle cristallizzazioni, quella degli amori che nascono e degli amori che muoiono secondo Stendhal, c’è la precipitazione, e il 24 luglio è la precipitazione. Dura poco, quando arriva, il 24 luglio. E, non per allarmare ancora di più B., cui auguro un commiato confortevole, ma il 24 luglio non fu nemmeno una vera vigilia: la riunione del Gran Consiglio del fascismo cominciò quel pomeriggio, con la relazione di M., e finì alle tre di notte. Il 25 luglio sì, ma solo per tre ore. Poi venne il pomeriggio, la visita di M. al re, il suo congedo in soli venti minuti, il suo umiliante arresto in una “lercia autoambulanza” all’uscita. Che una febbre improvvisa attraversi una maggioranza parlamentare “introvabile” fino a ieri per l’ampiezza e, per così dire, l’allegra superfluità, si spiega con quell’antica e rinnovata memoria di naufragi e ribaltoni e 25 lugli e hotel Raphael. Si dovrebbe scattarne un’istantanea, della larga maggioranza, per studiare l’inclinazione dello sguardo di ciascuno: verso il capo, verso il vicino, verso l’uscita di sicurezza più prossima. Nella notte del Gran Consiglio, nel breve trapasso fra il 24 e il 25 luglio, diciannove votarono contro M., sette a favore, uno si astenne. Giochi fatti. Succede così, quando si apre una crepa, e non viene rimarginata. Intendiamoci, questi sono ancora pieni di soldi e di bischerate. Però si può già, senza iattanza – sono sempre loro che tengono il coltello per il telecomando – immaginarne le mosse. Che misure starà prendendo fra sé e sé un intrepido avvocato difensore secondo il quale – ancora alla data di ieri – B. non pagherebbe mai una donna, avendone “grandi quantitativi”? Duri quanto duri la notte del 24 luglio, l’epitaffio è già stato dettato. Quella che ballava fino a un momento fa era l’Italia dei grandi quantitativi, di donne e di tutto. Meglio che sul solito Titanic, come i magnati e i magnaccia sull’incrociatore Aurora.

Erano altri tempi, il 24 luglio, e le veline erano ancora tassativi fogli di istruzione per i mezzi di comunicazione, non ragazze ammucchiate nella stanza adiacente alle istituzioni. Maria José, che era la moglie dell’erede al trono ma detestava il fascismo e aveva a che fare con inglesi e americani e bravi monsignori, fu tuttavia disgustata dalla rapidità con cui “la gente buttava giù le statue e i busti di Mussolini, i fasci littori, le aquile e tutte le insegne del regime… Soltanto ieri lo avevano osannato, ora lo condannavano furiosamente”. 
La crepa si era aperta da un po’, del resto. Dino Grandi, che fu poi il promotore dell’ordine del giorno – della notte – del 25 luglio, aveva già trovato “terrea” la faccia del duce. Difficile trovare terrea quella di B. – c’è da scavare – ma l’impressione è quella. Lo guardavo mentre il ministro della Giustizia, parlando dello stato delle carceri (si può anche scrivere maiuscolo: lo Stato delle carceri), rivolto alla sedia sulla quale era seduto come sulle spine, lo chiamava “sostenitore e testimone di una nuova moralità politica”.

Dov’è l’altro punto debole, direi, della lettera aperta di Giuliano F.? Nella conclusione: “Ora tocca a lui tirarsi su da questa incredibile condizione di minorità civile in cui si è ficcato, e reagire con scrupolo, intelligenza e forza d’animo”. Mettiamo che B., ieri mattina, leggesse, e dopo aver fatto tutti gli scongiuri che un necrologio politico come quello suggerisce alla superstizione di un uomo di Stato, e dopo aver chiesto in giro che accidenti è successo il 24 luglio, chiamasse Giuliano F. e gli chiedesse francamente: “Va bene, ho capito, ma che cosa devo fare? Se tu fossi nei miei panni, che cosa faresti?” Credo – stavo per dire “temo”, ma non lo temo affatto – che il lungimirante Giuliano non avrebbe avuto molto da dirgli, perché si è fatto improvvisamente troppo tardi. Il 23 si ballava e non c’era tempo per pensare, e l’alba del 25 si annuncia già con un rumore di autoambulanze. Gli avrebbe potuto dire di lasciare la politica: dopotutto non è mai stato l’affar suo, non ha mai preso gli ordini, ha fatto una sua parte colossale, ha un’età (questo non è facile da dirgli), una famiglia di cui rimontare i pezzi, luoghi meravigliosi in cui abbronzarsi davvero e, con precauzioni minime, scansare i fotografi. E provare, con un dignitoso congedo, a far continuare qualcosa: dopotutto Gianni Letta è da sempre lì per questo. Per una uscita del genere, venti minuti al Quirinale sarebbero perfino troppi. Certo, c’è sempre la minaccia dei maramaldi del giorno dopo. Oppure resistere (resistere, resistere, eccetera), ma alla condizione di dire agli italiani: “L’ho fatta grossa, sono un tipo così, la politica non fa per me, però mi piace governare. Mi piacciono troppo altre cose di cui ormai sapete, e di quelle mi scuso”. Potrebbe anche, abbastanza a buon diritto, fare una vasta chiamata di correo: “Io sono un tipo così, ho questo benedetto tic, ma chi è senza peccato si alzi e scagli la sua pietra. E per giunta voi non avete nemmeno il mio tic: siete stati accucciati sotto la mia tavola a ingrassare degli avanzi”. Pensiero ingiusto, è pieno di gente perbene e libera. Come al solito, nessuno si alzerebbe, e tanti si terrebbero cara la propria pietra, e la propria monetina, per il momento, non si sa mai, in cui dargli il benservito. Succede così, nel basso impero. E questo non è impero, ma basso sì.

da www.wittgenstein.it

venerdì 19 giugno 2009

GLI OCCHI DI LOLA


di Moises Disante

In una scatola si mescola il mio passato di foglie secche e la notte intimorito sento lo sgretolarsi di milioni di denti

La Villa sovraesposta vomita la vergogna dei giorni che mi son perso aspettando brevemente il silenzio del giorno dopo

Gravida di polvere spinge come giovane partoriente sperando che io afferri un respiro ansimante

ma la delicatezza di un battito non trova pace tra i mie capelli ed i colori nascondono alchimie che si svelano solo a pochi

Il disprezzo di un cane incatenato non ammette esitazione perchè Lola ora dorme sotto il peso di una Villa che è scomparsa

delicatamente

impacchettata

All’ombra di un ripostiglio fissa scarafaggi non più metallici e dallo splendore di una serata in giardino anche io mi porto frastornato il ricordo dei soldati

Se la notte non coprisse i nostri passi, avrebbe senso che ora noi uscissimo? Tutto mi dice che un attimo è bastato e che il mio sangue ancora scorre nelle vene dei miei amici

Ma ora dispersi come al vento, i loro desideri in capo al mondo…

dal blog Villa Telesio

giovedì 18 giugno 2009

APPUNTI PER UN QUOTIDIANO DA FARE


dal blog di Luca Sofri

Quando chiamano dal calendario Pirelli per dire che loro pagano un viaggio in Polinesia a un giornalista se voi poi pubblicate un pezzo sullo stantìo e insignificante calendario Pirelli, e vi danno delle foto con tante tette così voi potete mettere delle foto con tante tette con la scusa che state facendo cultura perché il calendario Pirelli sarebbe cultura, beh, quando chiamano la risposta è: grazie, non ci interessa, buon lavoro

mercoledì 17 giugno 2009

IRAN: LA RIVOLTA CINGUETTATA


di Leopoldo Papi

In Iran si sta svolgendo, in queste ore, qualcosa di mai visto prima: una vera e propria rivolta "cinguettata". Il governo della Repubblica Islamica, per contrastare le proteste contro la rielezione del presidente Ahmadinejad di questi giorni ha oscurato i principali siti internet, bloccato chiamate e sms sui cellulari. I giornalisti sono stati privati di visti e credenziali e invitati a rimanere nei loro alloggi, mentre gli interpreti sono stati indotti a smettere di tradurre notizie poco gradite alle autorità.

Il principale mezzo di espressione e comunicazione per i manifestanti è così diventato Twitter, (dal verbo inglese tweet, cinguettare) il servizio di microblogging che permette agli utenti di mandare aggiornamenti sul proprio status, inserendo parole chiave tematiche che li rendono facimente accessibili al motore di ricerca del sito.

Attraverso Twitter i dimostranti iraniani inviano informazioni, immagini e video in tempo reale sugli eventi in corso a Teheran, comunicano tra loro per organizzare e coordinare i raduni di protesta, segnalano links di blog e di articoli dai media internazionali.

Risale ad esempio a qualche minuto fa il post di Iran3sabs, in cui si annuncia la protesta per domani: "میر حسین موسوی called for protest on THURSDAY AFTERNOON, as a sign of sympathy with people who suffered so far . HE WILL ATTEND HIMSELF"; poco prima lo stesso utente aveva pubblicato: "SEPAH is responsible and going to maneuver 4 security tomorrow, Protesters should stick together and stay in the central areas of Tehran". (Sepah - l'esercito dei Guardiani della Repubblica Islamica - si muoverà per la sicurezza domani. I manifestanti, dovrebbero stare uniti e rimanere nelle aree centrali di Teheran).

Si legge invece sul sito di Gabhan (notizia non confermata) che "la guardia rivoluzionaria sta estromettendo la polizia dal controllo delle strade di Teheran". Sulla pagina di Revoal si promuove una petizione per aggiornare le mappe di Google Earth, in modo da mostrare le proteste, mentre altri post offrono assistenza sui modi di utilizzare siti proxy per non essere identificati.

E' di questi minuti la notizia (fonte Twitter, ovviamente) che le autorità iraniane stanno telefonando agli utenti invitandoli a smettere di utilizzare Twitter, e che intendono intraprendere azioni legali contro i gestori.

Su richiesta del Dipartimento di Stato americano, gli stessi gestori hanno rinviato i lavori di upgrade del sito programmati per questi giorni, per permettere agli iraniani di continuare a comunicare.

VENTICINQUE ANNI FA MORIVA MICHEL FOUCAULT


di Matteo Zola

Il 25 giugno del 1984 a Parigi moriva Michel Focault, per complicanze legate degli effetti immuno-soppressivi della sindrome da HIV. Fu filosofo e letterato, indagatore della storia della follia e censore del potere, studioso della sessualità e archeologo del sapere, pioniere della biopolitica e intellettuale impegnato nell’affermazione dei diritti umani.

A distanza di venticinque anni esatti :Duepunti edizioni pubblica in Italia una vasta selezione dei testi e degli interventi foucaultiani di argomento politico, che con una lucida lungimiranza ci svelano le radici profonde di fenomeni socio-politici appena accennati negli anni ’70 e oggi pienamente maturi. Il volume dal titolo La strategia dell’accerchiamento. Conversazioni e interventi, 1975-1984 (pagine 320; prezzo € 15,00), raccoglie testi del tutto inediti in Italia, pubblicati in Francia nella monumentale silloge dei Dits et Ecrits (Detti e scritti) dai quali emerge la passione civile e l’impegno politico di uno dei massimi filosofi del Novecento.

In questi interventi su giornali e riviste -un vero grande esempio di giornalismo- traspare un acume straordinario nell’analisi della cosiddetta “società disciplinare”, delle trasformazioni del potere e della diffusione sempre più capillare dei dispositivi di controllo e di sicurezza. Ma anche una capacità sorprendente di anticipare temi tuttora attuali come la dipendenza energetica dell’Europa nei confronti della Russia, la questione dei diritti umani, le limitazioni della libertà imposte in nome della lotta al terrorismo (in particolare a proposito della vicenda della Banda Beider-Meinhof, oggi ripresa nell’omonimo film, recentemente candidato all’Oscar), i problemi dei rifugiati e dei migranti.

Foucault conferma così, sul terreno dell’agire politico, di essere un punto di riferimento imprescindibile per comprendere il nostro tempo e offre strumenti teorici preziosi per l’esercizio di una lucida coscienza critica.

martedì 16 giugno 2009

DA FERRARIO ALLA CROISETTE


Ci sarà anche Davide Ferrario tra gli ospiti della quarta edizione di “Incontri cinematografici”, la rassegna per promuovere il cinema indipendente europeo che si terrà dal 17 al 21 giugno a Stresa. Ferrario sarà presente con il suo ultimo lavoro, “Tutta colpa di Giuda”, una commedia musicale girata interamente nel penitenziario di Torino. Dopo tre edizioni dedicate al confronto tra le cinematografie di Italia e Svizzera, quest’anno ci sarà anche la presenza del Belgio. Il festival si aprirà con la proiezione del film “Totò al Giro d’Italia” (1948) di Mario Mattoli, parzialmente girato nei giardini dell’hotel Regina Palace, una delle sedi dell’evento. Oltre ai lavori di Ferrario - che chiuderà la rassegna - e di Mattoli, saranno cinque le anteprime nazionali. Alla fortunata serie tv “Boris”, prodotta da Luca Cambi per Fox, sarà dedicata la retrospettiva. Il Cigno d’oro 2009 verrà infatti assegnato agli autori della sit-com e a Luca Vendruscolo, regista di “Piovono mucche”, storia di un gruppo di disabili e dei loro assistenti, che verrà proiettato nel pomeriggio di sabato 20 giugno. Incontri professionali tra esponenti dell’industria audiovisiva dei tre paesi e la presentazione del network produttivo europeo “Tarantula film” faranno da sfondo alle proiezioni. In programma una tavola rotonda sul mondo dell’animazione e un approfondimento sul “tax shelter” belga, ovvero le agevolazioni fiscali a favore della cinematografia.
Anche il museo del cinema di Torino proporrà, per l'estate 2009, due mostre in contemporanea, dal 16 giugno al 30 agosto. La prima, allestita sulla cancellata esterna della Mole, rappresenterà un omaggio all’originaria sede espositiva di palazzo Chiablese, con trenta immagini per ripercorrere i momenti più significativi del museo. La seconda mostra, "Cannes Cinema. 50 anni di festival nella collezione Traverso" verrà ospitata nell’aula del tempio: 90 foto di grande formato scattate sulla Croisette dalla famiglia di fotografi originari di Tenda.

lunedì 15 giugno 2009

AMIANTO ABBANDONATO: CONTINUA LA LOTTA


di Daniela Sala e Matteo Acmè

“Siete pronti? Facciamo un giro così vi rendete conto del porcaio in cui viviamo”. Francesco D’Angelo ci accompagna nel suo giro di ispezione. Fa parte delle Gev (Guardie ecologiche volontarie), il corpo provinciale di tutela dell’ambiente. Il gruppo di Collegno, quello di D’Angelo, si occupa della zona compresa fra Casorette, Pianezza, Druento e Caselle.

“L’amianto? Ne troviamo praticamente ad ogni uscita – ci spiega la Gev – Ormai è una pratica consolidata: sono soprattutto ditte che prendono lavori di bonifica a prezzi stracciati e invece di fare uno smaltimento corretto, e quindi costoso, abbandonano l’amianto nell’ambiente”.

Nella prima mezz’ora ci fermiamo in tre zone “di abbandono abituale” e in tutte e tre ci sono resti di eternit, D’Angelo scuote la testa, “abbandoni del genere sono pericolosi. Prima di tutto per chi li fa senza le precauzioni adeguate”. Poi delimita l’area interessata e mette un cartello che avverte di non rimuovere. A questo punto scatta una prima indagine alla ricerca di indizi che possano far risalire al responsabile: un indirizzo su un pezzo di carta, un numero di telefono, un nome. Se si scopre qualcosa la palla passa a Ferrero il coordinatore provinciale delle Gev e da quel momento è la Provincia che si occupa del caso. Se è una ditta ad abbandonare rifiuti pericolosi le sanzioni sono penali.

In questi “comuni dormitorio” si trovano mucchi di rifiuti un po’ ovunque: “Abbandono chiama abbandono, se vedono rifiuti all’aria aperta si sentono autorizzati a continuare lo scempio. E la rimozione è a carico dei comuni e dei cittadini”. Ci spiega che i comuni più grandi organizzano raccolte con cadenza settimanale ma quelli più piccoli spesso non possono permettersi di organizzare rimozioni e bonifiche tempestive. Capita quindi che i rifiuti e l’amianto restino sul luogo dell’abbandono anche per parecchio tempo.

Cerchiamo l’amianto ma troviamo rifiuti di ogni genere: resti di computer, materassi, tubazioni, metalli e contenitori di ogni tipo. Secondo Francesco D’Angelo “l’eternit è pericoloso ma resta un abbandono marginale. Il vero problema è la mole complessiva dei rifiuti.” Troppo facile il riferimento a Napoli ma davvero la periferia torinese sembra disseminata di piccole discariche a cielo aperto.

Le Gev cercano di tenere sotto controllo la situazione ma hanno alcuni problemi, primo fra tutti l’organico: “Al momento siamo in nove, troppo pochi. Aspettiamo che si aggiungano altri venti persone ma ricordiamoci che rimaniamo dei volontari, per noi non è un’occupazione a tempo pieno”. A questo si aggiungono le loro limitate competenze in fatto di controlli: le Guardie ecologiche si limitano a compiti di polizia amministrativa, appena si prefigura il reato penale se ne occupa la Provincia. Manca anche la possibilità di efficaci controlli sui “rifiuti viaggianti”: chi trasporta rifiuti deve avere la documentazione che li identifica con precisione, un espediente che dovrebbe limitare gli abbandoni. Oggi le Gev non possono controllare gli spostamenti di spazzatura e scarti da bonifiche, la competenza spetta alle forze dell’ordine che non sempre possono dedicarvi il tempo necessario. “Non abbiamo i presupposti legali per migliorare in questo senso il nostro lavoro, - lamenta D’Angelo - ma manca anche del tutto la volontà politica.”

venerdì 12 giugno 2009

STIPENDI NON PAGATI, ALLA TLC DI GRUGLIASCO SCIOPERANO IN 160


“Tlc ha agito in modo arbitrario senza rispettare le più elementari regole dei rapporti di lavoro”. Pierpaolo Fanni, delegato zonale Fiom, non usa mezzi termini. A partire da stamattina, 160 lavoratori della Tlc Italia di Grugliasco sono in mobilitazione fuori dai cancelli. Contestano la proprietà per la mancata erogazione delle ultime due mensilità, oltre che dell’ultima tredicesima di dicembre. L’azienda per la quale lavorano effettua impiantistica per le maggiori compagnie telefoniche. E’ diventata di proprietà della Tlc, che ha sede in provincia di Imperia, alla fine del 2008, con un contratto di affitto dalla Cartesiana Progetti Telecomunicazioni di Susa.

“Allora - racconta Fanni - i lavoratori avevano sottoscritto un accordo svantaggioso: noi, a differenza della Uilm, non lo abbiamo firmato. Prevedeva la trasformazione del superminimo in indennità di trasferta, onde evitare il fallimento. Ma i problemi anziché finire sono iniziati. In alcuni casi l'indennità è stata cancellata, mentre a più riprese l'azienda ha effettuato richiami ingiustificati, non pagando gli straordinari e i sabati e, infine, non pagando più nemmeno gli stipendi”.

lunedì 8 giugno 2009

"IO NEL PARLAMENTO EUROPEO NON CI CREDO"


“Io nel parlamento europeo non ci credo, non si occupa di cose concrete”. Non usa mezzi termini Elena Provvisero per descrivere la sua disillusione nei confronti dell’unico organo comunitario elettivo. Siamo a Crocetta, quartiere della I Circoscrizione, prestigiosa zona residenziale. La signora Provvisero è appena uscita dal seggio, si è addirittura portata via una matita, sbadatamente. “Per me sono molto più importanti le amministrative”, taglia corto l’elegante elettrice.

Non la pensa così Elena Tovo, che mentre si dirige verso la propria sezione difende l’importanza del voto comunitario: “Ha una grande rilevanza votare per le europee, perché a Bruxelles si prendono scelte che pesano anche a livello locale”. “Questo senza contare poi il fatto – aggiunge la signora Tovo - che l’europarlamento è l’unico organo democratico del Vecchio Continente e ciò dà al voto un’importanza ancora maggiore”.

Nella sezione di via Cristoforo Colombo l’affluenza sembra costante. Ma il voto alle provinciali non appassiona tutti allo stesso modo. “Per me la Provincia è inutile, avrebbe dovuto essere già da tempo abolita”, afferma deciso un altro elettore “crocettiano”, Paolo Borga, sottolineando allo stesso tempo l’importanza del voto europeo: “L’Ue è vitale a livello economico, con tutte le sovvenzioni e i finanziamenti alle imprese che tengono in vita il tessuto locale. Purtroppo in Italia i politici, ma anche molti elettori, non credono nell’Europa”.

E i tanto chiacchierati giovani? Daniele e Simona confidano nel voto comunitario: “L’europarlamento rappresenta una realtà che va ben oltre quella italiana. Qui da noi, soprattutto per colpa del sistema dell’informazione, opera una sorta di censura preventiva. In Europa invece, come nel resto del mondo, c’è più libertà di critica. Dunque è importante il voto europeo per dare sempre più potere all’organo comunitario”. Ma i politici italiani sembrano andare in un’altra direzione: “Si occupano solo di quello che gli fa comodo”, tagliano corto i due ragazzi “italo scettici”.

venerdì 5 giugno 2009

THYSSEN, "GRAVI CARENZE NEI CONTROLLI PUBBLICI"


E’ ripreso ieri in Corte d’Assise il processo Thyssen per l'incendio che il 6 dicembre 2007 uccise sette operai. La testimonianza di Anna Maria Lantermo, attuale direttore del servizio di sicurezza e prevenzione dell’Asl 1 (lo Spresal) ha puntato il dito sulle carenze nei controlli degli organi pubblici di vigilanza: “Un quadro diffuso di criticità, elevati rischi di infortuni, scarsissima pulizia, trascuratezza e poca manutenzione”.

Dopo la tragedia, ha ricordato la Lantermo, i sopralluoghi fecero emergere gravissime lacune non solo alla linea 5, quella andata a fuoco, ma in tutto lo stabilimento torinese. Proprio quelle lacune furono la causa di 116 prescrizioni e di una sanzione di 74mila euro nei confronti dell’azienda tedesca. La presidente della Corte, Maria Iannibelli, si è chiesta se vi fossero stati controlli anche prima del rogo e se erano stati presi provvedimenti. "Della pratica si occupava un altro ufficio dell'Asl - ha spiegato la Lantermo - completamente autonomo rispetto al mio ufficio." Su questo aspetto la Procura ha in corso degli accertamenti, e le carte relative alle verifiche Asl prima della tragedia sono da tempo sotto sequestro.

Il dirigente responsabile della prevenzione è oggi in pensione: di accertamenti comunque ne furono fatti, anche perché la fabbrica era considerata “a rischio ambientale”. Il problema è che l'esito non è stato reso noto. L’attuale direttore dello Spresal, la cui divisione interveniva solo in caso di incidente o dopo una denuncia formale, ha sottolineato che dall'estate del 2007 la Thyssen “avrebbe dovuto aggiornare il documento di valutazione dei rischi, ma non lo fece”. Le fotografie mostrate in aula da un collega della Lantermo hanno ulteriormente aggravato la posizione dell’azienda, illustrando le gravi carenze presenti in tutta l’area.

L'ultimo testimone, il dirigente aziendale Sergio Giardinieri, ha ricordato le cifre stanziate dalla ThyssenKrupp Italia per le misure antincendio: 28 milioni fra il 2001 e il 2007. Ma ci deve essere stato un problema nella ripartizione: solo 2 milioni sono infatti arrivati sotto la Mole.

“L’ISLAM È PARTE DELL’AMERICA”: OBAMA TENDE LA MANO AL MONDO ARABO


“L’Islam è parte dell’America”. Detto da un presidente americano comunque legato a delle radici musulmane, questa frase di Barack Obama, pronunciata nell’aula magna dell’Università Al-Azhar del Cairo, in Egitto, potrebbe simboleggiare l’inizio di una nuova era nei rapporti tra Occidente e mondo arabo. Ma i temi sul piatto sono tanti, e non tutte le parole in politica sono magiche, capaci cioè di dare effettivamente un riscontro reale.

Dalla Palestina occupata all’Iran atomico, passando per i rapporti tra Stati Uniti e Israele: “I nostri legami con Israele sono inattaccabili, ma la situazione dei palestinesi è assolutamente intollerabile”. Parole nuove, che gli arabi non erano abituati ad ascoltare da tanto, troppo tempo. E’la mano tesa verso il “pugno chiuso” dei “nemici” dell’America, da Ahmadinejad ad Hamas: “L’Iran dovrebbe avere accesso al nucleare pacifico, ma deve aderire al Trattato di non-proliferazione”.

Poco prima il presidente della “speranza”, del “yes, we can”, aveva ricordato che anche “loro”, i palestinesi, “possono”. Possono aspirare “alla dignità, all’opportunità e a uno Stato proprio”, poiché oggi vivono in maniera “intollerabile. Parole nuove, uno yankee che “invita” Israele a metter fine ai nuovi insediamenti” e che parla di “stereotipi negativi sull’Islam, che fanno apparire l’Islam ciò che non è”.

Le reazioni arabe al discorso di Obama non sono tardate ad arrivare. Dalla Striscia di Gaza, feudo degli islamisti di Hamas, Taher Nunu, portavoce del governo palestinese democraticamente eletto nel 2006, ha commentato positivamente: “Ci sono segnali di discontinuità rispetto alla politica del suo predecessore George W. Bush. Speriamo sia l’inizio di un cambiamento basilare, basato sul rispetto delle scelte democratiche dei popoli”. Anche il Vaticano ha espresso “apprezzamento” per il discorso pronunciato dal presidente a stelle e strisce: “Un intervento molto importante”, ha sottolineato il portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi.

giovedì 4 giugno 2009

TIAN'ANMEN, LA STRAGE DELL'INFORMAZIONE


di Alessia Cerantola

“Il 1989 è uno spartiacque per la storia della Cina e il momento in cui la gente ha smesso di avere interesse per la politica e la rivoluzione. Dal 1990 la cosa importante è diventata fare soldi”. Con queste parole lo scrittore cinese Yu Hua aveva parlato durante la Fiera Internazionale del libro di Torino quanto successo a piazza Tienanmen. “Vent’anni – ha aggiunto – è il tempo necessario per poter scrivere di un fatto del genere, cui ho assistito in prima persona”. E lui l’ha fatto in un articolo pubblicato dal New York Times

Oggi è ricorre il ventesimo anniversario della strage avvenuta a Pechino, e su cui il governo cinese non ha ancora fatto chiarezza. Anzi. L’esercito ha militarizzato la piazza, la censura colpisce importanti strumenti di informazione moderna: dalla stampa, interna ed estera, alla rete. Blog, social network e community sono sotto controllo.

Per protestare contro il governo cinese, ieri sera un gruppo di dirigenti e militanti dei Radicali di Torino, si è riunito a piazza Castello per chiedere “democrazia per la Cina e autonomia per il Tibet”. I manifestanti si son stesi sulla piazza con fiaccole accese e cartelloni per mimare i corpi dei giovani uccisi a Pechino. Un’iniziativa per dare voce a una strage ancora taciuta.

NOVARA: MANIFESTAZIONE CONTRO I CACCIA- BOMBARDIERI


di Matteo Acmè

Pacifisti, anarchici, comunisti e semplici cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il programma Joint Strike Fighter, che porterà a costruire e collaudare aerei da combattimento vicino alle loro case.

PeaceReporter spiega che l'aereoporto di Cameri, vicino a Novara, sarà l'unica linea di montaggio finale dei caccia-bombardieri prodotti dal consorzio industriale Jsf, a cui partecipa anche l'italiana Alenia, azienda aereonautica del gruppo Finmeccanica.

Lo Stato italiano poi ha deciso di comprare 131 di questi velivoli per una spesa di oltre 15 miliardi di euro da spalmare per i prossimi diciott'anni.

Una decisione spiegata anche con la possibilità di creare nuovi posti di lavoro, come avevamo documentato quando era stata annunciata la decisione. "Ma non tutti i lavori sono uguali - hanno commentato i manifestanti - e produrre armi e strumenti di guerra è qualcosa a cui noi siamo contrari. Anche se porta soldi."

A Novara è stato anche creato un comitato permanente che si oppone alla produzione degli F-35.

mercoledì 3 giugno 2009

SCONTRI AL G8 DELLE UNIVERSITÀ: SCARCERATI I DUE FERMATI


Sono stati scarcerati lunedì 1 giugno, dopo una repentina decisione del tribunale del riesame di Torino. Alessandro Arrigoni e Domenico Sisi , i due ragazzi arrestati dopo gli scontri del 19 maggio in occasione del G8 delle Università, hanno ora l’obbligo di dimora (rispettivamente Sassari e Torino) e firma. I ragazzi dell’ Onda Anomala , vicini agli autonomi, erano in mobilitazione da due settimane per chiederne la scarcerazione.

Arrigoni, 26 anni, era accusato di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale; Sisi, 29 anni, era invece stato fermato con l’accusa di fabbricazione e detenzione di materiale esplodente e infiammabile.

mercoledì 27 maggio 2009

NOTTE BIANCA A SAN SALVARIO


di Matteo Zola

San Salvario non ha paura, anche perché non ce n’è motivo. La cattiva fama del quartiere, legata all’immigrazione e alla criminalità che ne conseguono, è roba da mettere ormai in soffitta. E l’iniziativa “Torino non ha paura”, promossa dal cartello di associazioni Torino Sistema Solare, per sabato 30 giugno, intende concentrarsi sulle potenzialità sociali di un quartiere troppo spesso utilizzato per il tornaconto dei sostenitori della ronda padana o del multi-etnico a ogni costo.

Musica, concerti, balli, nei locali del quartiere: il messaggio è che “non avere paura” sia il solo modo per evitare il pregiudizio. Parte da qui l'idea di una notte bianca per le vie e le piazze di un quartiere vivace e da sempre crocevia di culture: fin dal suo sviluppo, seguito all’abbattimento della cinte muraria, ospita una sinagoga, sita in via San Pio V, un tempio valdese, quattro chiese cattoliche oggi molto frequentate dai nuovi torinesi, immigrati dall’Africa, dal Sud America, dalle Filippine.

Forse ispirati dal clima del quartiere, giovani cantautori torinesi hanno trovato impulso creativo e possibilità per serate di musica e bisboccia bohemmienne: saranno loro i protagonisti della giornata. Ma la musica continua con Fabrizio Gargarone dell’ “Hiroshima Mon Amour”, la cui vecchia sede era proprio in via Belfiore, che ha curato una compilation che si può scaricare gratuitamente, compresa la copertina firmata brh+, dal sito www.torinosistemasolare.it. Il disco liquido si intitola «San Salvario da mezzanotte alle quattro».

Sabato prossimo si comincerà alle 14,30 al Fluido, nel Parco del Valentino, non diversamente dal tradizionale sabato pomeriggio in riva al Po., con sdraio, stuoini sul prato, drink dissetanti e musica proposta da disc jockey. Alle 17 sarà il momento dei cantautori, per poi spostarsi, all’ora dell’aperitivo, nei locali della zona dove reading e balli animeranno il Biberon, al Diwan, il Clavel, lo Sbarco, il Velvet, tra gli altri. Al Damadama, in Piazza Madama Cristina, una “libreria vivente” darà letteralmente vita a volumi che al posto delle pagine avranno la voce delle persone narranti, evocando Bardbury. Per coloro più sensibili alle passioni di pancia, i kebab della zona offriranno i tipici piatti del quartiere: kafta, falafel, khushaf, tè alla menta.

Gran finale dopo mezzanotte all’Artintown, con i dj e musicisti, dove confluiranno anche ragazze e ragazzi di Torino e provincia invitati nel pomeriggio al Valentino per la giornata conclusiva del progetto antimafia «Aria».

giovedì 14 maggio 2009

FIERA DEL LIBRO, LETTERA APERTA A RAÚL CASTRO


Una lettera aperta degli organizzatori della Fiera del Libro di Torino al presidente cubano Raúl Castro, per chiedere la revoca del divieto che impedisce a Yoani Sánchez di lasciare il suo paese. La Sanchez, 34 anni, è l’autrice dissidente del noto blog Generación Y . Oltre a scrivere per il portale Desdecuba.com, ha pubblicato il libro “Cuba Libre – Vivere e scrivere all’Avana” (edito da Rizzoli), un volume che raccoglie i suoi post più interessanti, tutti molto cronachistici e fortemente critici nei confronti del regime castrista. In Italia i suoi articoli sono pubblicati su Internazionale (al riguardo c'è stata un’aspra polemica con Gianni Minà , che ha definito la Sanchez “pressoché sconosciuta a Cuba” e i suoi post sostanzialmente propagandistici).

“Saremmo stati felici – scrivono gli organizzatori della kermesse torinese - di confrontarci con questa giovane giornalista e scrittrice, che è già conosciuta nel mondo grazie a Internet e al suo blog, letto da quanti seguono con passione le vicende di Cuba. Abbiamo dunque appreso con dispiacere che Yoani ha dovuto rinunciare al viaggio, dopo aver cercato invano di ottenere dalle autorità cubane il permesso necessario a uscire dal Paese, che le viene negato ormai da anni”.

La lettera aperta continua rivolgendosi direttamente al fratello di Fidel Castro, Raúl, dal 2008 presidente del Consiglio di Stato nella piccola repubblica monopartitica: “Signor Presidente, il desiderio di conoscenza è il sale della democrazia e non può spaventare nessuno. Sappiamo che quella di Yoani Sánchez è considerata una voce critica rispetto alle scelte e alle politiche del governo cubano, ma è anche una voce partecipe, responsabile, non violenta, che esprime amore per Cuba e per il suo popolo. Consentendole di viaggiare e di comunicare con il resto del mondo, Cuba onorerà la libertà e il proprio coraggio di guardare al futuro con fiducia”.

lunedì 11 maggio 2009

"CALABRESI ASSASSINO": GLI ANARCHICI RIVENDICANO LE SCRITTE SUI MURI


“Calabresi assassino. Pinelli assassinato, nessuna pace con lo Stato”, firmato Fai , Federazione anarchica italiana. Le scritte comparse questa notte a Torino, vicino ad alcune sedi del Partito democratico e sul muro della redazione de “La Stampa” (oggi diretta da Mario Calabresi, figlio del commissario assassinato), hanno suscitato lo sdegno dell’intero mondo politico. Dalla presidente della Regione Mercedes Bresso (“Una cosa inammissibile e disgustosa, ci sono livelli di bassezza che non sono comprensibili”) a Davide Gariglio, a capo del Consiglio regionale (“Sono azioni teppistiche, contro le quali occorre un'azione comune di tutte le forze politiche e della società civile”), passando per Cesare Damiano, responsabile Lavoro del Pd, e Andrea Ronchi, ministro per le Politiche europee.

La Fai ha rivendicato il gesto in un comunicato diffuso in giornata, accusando tra l’altro il presidente della Repubblica Napolitano di voler “riscrivere la storia”: “Dopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano, che, come il suo collega Violante, riscrive la storia mettendo sullo stesso piano le ragioni dei carnefici e quelle delle vittime”.

Le accuse a Napolitano fanno seguito all'invito dello stesso capo di Stato, durante la cerimonia in memoria delle vittime del terrorismo, della vedova Pinelli insieme a Gemma Calabresi, madre del commissario ucciso. Un incontro durante il quale le due donne si sono cordialmente salutate.

Luigi Calabresi fu assassinato il 17 maggio 1972 da un commando di due killer che gli spararono alle spalle. Dell’omicidio vennero accusati (e successivamente, tra le polemiche, condannati in via definitiva) alcuni militanti di Lotta Continua, tra cui, come mandante, Adriano Sofri (autore recentemente di un volume, “La notte che Pinelli”, che ricostruisce la vicenda).

Giuseppe Pinelli era un ferroviere anarchico milanese. Cadde giù dalla finestra della questura meneghina il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage di piazza Fontana: era trattenuto dal giorno dell’attentato alla Banca dell’Agricoltura. A interrogarlo fu, tra gli altri, il commissario Calabresi, allora vice-responsabile dell’Ufficio politico milanese. La sentenza D’Ambrosio (l’ultima sul caso, del 1975) parlò, per spiegare la caduta, di “malore attivo” dell’anarchico. Calabresi fu oggetto, sino alla tragica morte nel ‘72, di una violentissima campagna stampa da parte dei gruppi della sinistra extraparlamentare ( e non solo ), convinti del coinvolgimento del commissario nella morte di Pinelli.

QUANDO L'ITALIA VESTIVA GRANATA


11 maggio 1947, stadio Comunale di Torino. Si gioca Italia-Ungheria. Gli azzurri scendono in campo con questa formazione: Sentimenti IV; Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti II, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. Guidata da Vittorio Pozzo, l’Italia vince 3 a 2 contro i magiari. Degli undici scesi in campo quel giorno, dieci giocavano nel Grande Torino : un record tuttora ineguagliato. L'”estraneo” è Sentimenti IV, il portiere-rigorista dei cugini bianconeri.

Quella domenica del ’47 contribuì a dare fama continentale ai ragazzi di Ferruccio Novo, allora allenatore del Toro: sintetizzava la superiorità schiacciante di una squadra nel Paese che deteneva da 13 anni (1934) il titolo di campione del mondo. Anche l'Ungheria schiera 9 giocatori della squadra campione nazionale, l’Újpest, mentre uno dei due estranei è il giovane e talentuoso Ferenc Puskás.

Al Comunale la partita è tesa, le squadre si fronteggiano ad armi pari: alla doppietta di Gabetto rispondono prima Szusza, poi Puskás su rigore. Decide Loik all’89’. Torino batte Újpest 3 a 2. Due anni dopo, nel 1949, la tragedia di Superga: nove granata muoiono, si salva solo il capitano Ferraris II, ceduto l’anno prima al Novara. Il Grande Torino entra nella leggenda, insieme ai suoi record.

venerdì 8 maggio 2009

I TRE VELINI (il manifesto, Gabriele Polo)


Che mestiere è il nostro? Cos'è il giornalismo? Forse il modo migliore per definirlo l'ha trovato uno scrittore messicano, Paco Ignacio Taibo II, dicendo che è un luogo di confine, perché essendo a contatto con il potere, «i giornalisti possono esprimere il massimo della virtù come il massimo della corruzione». L'altra sera, a «Porta a Porta», l'alternativa è stata facilmente risolta. Dai giornalisti presenti è arrivato un semplice adeguarsi allo spirito che - almeno apparentemente - avvolge il paese. Tre velini, cui mancava - per essere pienamente nella parte - solo decolleté e botulino (ma per quest'ultimo sono ancora in tempo a por rimedio).
Di fronte avevano un Papi del Consiglio in tale difficoltà da dover ricorrere al maggiordomo di fiducia per spiegare in Tv che lui non va a letto con le minorenni, rinverdire l'immagine di buon nonno di famiglia, rilanciare la favola populistica dell'uomo che pensa a tutti e con tutti sa stare. Quello che unisce, nella sua presenza, la festa milionaria pagata al rampollo di casata con il semplice brindisi della periferia napoletana. E con l'efficienza dell'uomo di stato che ogni problema vede e a ogni dramma provvede. Eppure, i tre direttori non hanno saputo sottrarsi, hanno accettato il ruolo dei cortigiani, dispensando perbenistici consigli al premier (De Bortoli, Corriere della sera), recitando domande che sembravano assist (Napoletano, Il Messaggero), ammiccando e giocherellando a chi appariva più brillante (Sansonetti, l'Altro).
È vero, non è facile intervistare Silvio Berlusconi, soprattutto in Tv: «scappa» sempre altrove, blandisce, sproloquia portando il discorso da un'altra parte rispetto al quesito di partenza. «Porta a porta», poi, è zona minata, ci vuole un attimo a scivolare nel gossip o nel salottino tra complici. Ma questa recita da cortigiani del sovrano si può evitare. A meno che non si creda che quello - quello di Bruno Vespa - sia il principale luogo del confronto pubblico; che quello - quello di Berlusconi - sia il metro di misura della realtà, il palcoscenico della promozione (di idee o di testate vecchie e nuove). E se si crede davvero questo, se si considera inevitabile la sfida, allora perché ridursi a specchio del premier, perché riconfermare la sua egemonia e permettergli la simulazione dell'onnipotente che si sottopone al giudizio dell'opinione pubblica. O, più semplicemente, perché nessuno - ma proprio nessuno e non solo l'altra sera - ha fatto a Berlusconi la sola domanda sensata per questa vicenda da basso impero: «Signor presidente, come ha conosciuto il padre di Noemi e come mai discute al telefono con lui - che pure ha avuto qualche guaio con la giustizia - delle candidature alle prossime elezioni? Candidature che poi sarà lei, e solo lei, a decidere»? Una domanda semplice, forse troppo semplice per gli attori di un salotto cortigiano.

ELKANN: "FIAT, TROPPO PRESTO PER PARLARE DI TAGLI"


“Non serve essere grossi per essere grandi”. Con queste parole (una citazione dell’ex segretario Onu Kofi Annan), stampate sulla fiancata della sua 500, John Elkann, vicepresidente della Fiat, ha salutato i partecipanti del Simposio di management organizzato dall’Università di San Gallo, in Svizzera.

“L'importante è guardare al di là dei confini nazionali e creare un gruppo automobilistico forte, con prospettive di lungo periodo”, ha detto Elkann spiegando agli studenti la logica dell'alleanza con Chrysler e del progetto di matrimonio con la Gm Europe. “La sfida è quella di creare un'azienda veramente europea, ma è troppo presto per parlare di possibili tagli agli stabilimenti o di punti importanti di un eventuale accordo”.

A chi gli chiedeva chiarimenti, in qualità di presidente, sul possibile impegno finanziario di Exor (la società della famiglia Agnelli che detiene una partecipazione pari a poco più del 30% in Fiat) nel progetto di fusione, Elkann ha risposto: “Non abbiamo mai escluso la possibilità di partecipare finanziariamente all'operazione”.

giovedì 7 maggio 2009

sì lo so, non ci sono foto nè video nè niente. e allora?

La Fissazione


René era soddisfatto quella mattina, trovando il suo piede destro sotto le coperte. La sua carne difatti aveva necessità di iniziare la giornata nelle condizioni migliori. Non era da molto che la Fissazione aveva iniziato a interessarsi di lui. Aveva solo 55 anni, ben portati.Viveva nella cella n°3891, nella sezione europea di Raccolta. Il personale era gentile, giovane, italiano. Tutti tossicodipendenti immuni. Gli Unici erano i tossicodipendenti, gli Unici e gli Ultimi. La sua stanza era minuscola, come tutte le altre. Almeno credeva: non era mai uscito da là. Erano 55 anni, ormai.

Eppure sapeva tutto, aveva letto tutti i libri del suo predecessore. Da Lascaux a Picasso, da Saffo a Villa Telesio, da Spartaco a Obama: sapeva, René sapeva. La Fissazione aveva colpito il suo piede da quasi un mese: un record, di solito durava due settimane scarse. Ma René non aveva paura, La conosceva: si sarebbe spostata presto. Sperava di poter scrivere entro pochi giorni.

Allungò le dita del piede verso il contenitore ovale ai bordi del letto, riuscendo senza difficoltà a premere il bottone essenziale. Un tubo di gomma uscì docile incastrandosi tra alluce e secondo. Al contatto con la pelle umana il serpentello artificiale si allungò obbediente fino alla bocca del malato, fin dentro la sua gola. René era contento, aveva una fame incredibile.

Da quando la Malattia aveva colpito l’umanità, i tossici avevano deciso di rinchiudere e salvare tutti dentro edifici – un tempo grossi centri commerciali – dotati di tutti i comfort necessari ai Nuovi Paralizzati. Cibo, letto, libri. Così fu all’inizio. Il resto, solo ricambio generazionale. I tossici diventavano tossici, gli altri Nuovi Paralizzati.

Sazio, René aveva bisogno di un orgasmo. Batté tre volte il tallone e la porta si aprì. “Arrivo, René, arrivo”. Un giovane dai lunghi capelli neri entrò con in mano una siringa – per lui – e nell’altra l’orgasmo di René. “Grazie, Michele”. “Divertiti”. “Drogati”. “Lo farò”. “Mi divertirò anch’io”. “Certo, René, certo”. Rimasto solo, il piede di René si eccitò, grazie all’orgasmo portatogli da Michele il tossicodipendente.

Due giorni dopo, la Fissazione di René si era, come il 55enne francese aveva previsto, spostata nella mano destra. Ciò che il malato non aveva previsto era il suo essere mancino.

Tre settimane dopo Michele, entrando nella cella di René, urlò terrorizzato. C’era qualcosa che non andava nella stanza. Un’enorme finestra lo fissava. Non poteva essere, non c’erano mai state finestre nella minuscola cella. La porta, poi, la porta era aperta, spalancata. E tutto quel buio non c’era mai stato. E quella scritta – “l’assoluto è rinchiuso” - vergata da una mano incerta.

René non fu mai trovato. D’altronde, non poteva essere andato molto lontano, la Fissazione lo avrebbe presto raggiunto.

Non cambiò nulla nella sezione europea: solo, numerosi incendi scoppiarono ogni tre settimane, illuminando i rari fiori tra le tombe dei tossici e dei Nuovi Paralizzati. Ogni tanto, un usignolo moriva tra le fiamme, cantando.

da villatelesio.wordpress.com

Quando Chatwin iniziò a guardare l’orizzonte


Quando nel 1966 un giovane inglese, dipendente Sotheby’s esperto di Impressionismo, decise di recarsi da un oculista per un piccolo problema di strabismo, nessuno avrebbe potuto sospettare che quella visita avrebbe cambiato la storia della letteratura gitana, quella “da viaggio”, scritta da nomadi in borghese. L’oculista era Patrick Trevor-Roper, pioniere della lotta per i diritti gay, il giovane era l’allora ventiseienne Bruce Chatwin. Il dottore consigliò al futuro autore di “What am I doing here?” di non preoccuparsi per la vista, ma di evitare comunque l’osservazione troppo ravvicinata dei dipinti. “E cosa potrò guardare?”, chiese Chatwin; “Beh, guardi l’orizzonte”, rispose Trevor-Roper. E Chatwin l’orizzonte lo raggiunse camminando.

Nato nel 1940 nella “città delle sette colline”, Sheffield, Chatwin inizia a scrivere tardi, intorno ai trentacinque anni. Era malato di Aids, lo era dal 1980, e la sua morte a Nizza nove anni dopo non fu causata, come lo stesso scrittore voleva far credere, dall’infezione successiva ai morsi di un pipistrello cinese, ma dallo stesso HIV. Morì l’8 gennaio, dopo aver passato gli ultimi mesi della sua vita su una sedia a rotelle. Lui, che sempre e comunque, con le mani o con i piedi, si trascinava avanti. Dopo Sotheby’s Chatwin iniziò a lavorare per il Sunday Times, al quale mandava articoli da ogni parte del mondo. Ma non poteva, la carriera giornalistica, affascinarlo più di tanto. Non era un Kapuscinski, ma un Kerouac snob, un beat esteta. Pensò di raccogliere tutto il materiale scritto (e ancora da scrivere) in un volume. Nasceva con quel pensiero la “letteratura della Moleskine”, ovvero quel quadernino di pelle nera in cui Chatwin era solito scrivere le sue impressioni di viaggio, oggi commerciale gingillo da pseudo - scrittori. Nascono le leggende sull’autore inglese, le malelingue, le invidie, le passioni. “Ci sono poche persone al mondo con una presenza che incanta e amalia come incanta e amalia Bruce Chatwin – ha scritto Susan Sontag - non si tratta soltanto di bellezza: è un’aura, una luce negli occhi”.

Nel 1976 Chatwin si trova a casa di Eileen Gray, architetto parigino. Sul muro una cartina della Patagonia. L’anno dopo esce “In Patagonia”, forse il più intenso libro del nomade inglese. Un viaggio alla ricerca di Charley Milward, un marinaio inglese, zio della nonna di Chatwin. In realtà più che un marinaio, era l’orizzonte ciò che lo scrittore cercava. C’è in Patagonia tutta la scienza del viaggiatore di talento: l’antropologia (una sorta di studio sui gallesi espatriati), il mistero, l’ignoto attraversamento di terre sconosciute e certamente intrise di fascino, per un giovane inglese a piedi nudi, amante dell’Impressionismo, esteta fino al midollo. Scriveva di getto, riempiendo il suo zainetto di leggende, racconti, aneddoti (non sempre veri). Eppure, anche nell’inganno cosciente perpetrato talvolta (come certe testimonianze sembrano confermare) a lettori incoscienti, c’è sempre stato, nella sua prosa, il suono dei passi percorsi, veri come i chilometri ingoiati.

I TEMPESTOSI PLAGI DI GLENN BROWN


Nel novembre del 2000 un giovane artista nominato al Turner Prize, il prestigioso premio di arte contemporanea organizzato annualmente dalla Tate Gallery di Londra, venne accusato di plagio. La sua opera, “Loves of shepherds”, fu considerata (e in effetti lo era) praticamente identica alla copertina di un libro di fantascienza del 1974, “Double star” di Robert Heinlein. Il giovane artista era Glenn Brown, 43 anni, inglese di Hexham.

Quello che i critici non capirono allora è che lo stesso stile di questo pittore presuppone “il plagio”: ma un plagio inteso come copia trasformata e rivoluzionata, non una volgare riproduzione. Come ebbe a dire in un’intervista alla Bbc il presidente della giuria del Turner, sir Nicholas Serota, «anche Picasso prendeva in prestito da Rembrandt, e proprio per questo non si può accusare Brown di plagio: lui prende un’immagine, la trasforma e le dà tutto un altro significato rispetto all’originale».

Per chi volesse ammirare (o criticare) le opere di Brown in Italia, un’occasione c’è: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta, dal 28 maggio al 4 ottobre 2009, una retrospettiva dell’artista britannico, organizzata in collaborazione con la Tate di Liverpool e a cura di Francesco Bonami e Laurence Sillars. Scrive Bonami introducendo la mostra: «Guardando un'opera di Glenn Brown si ha l'inquietante impressione di essere davanti a qualcuno che si conosce bene, ma che è stato trasformato in qualcun altro o ne ha misteriosamente acquisito le sembianze. La sua grandezza risiede nella capacità di raccontarci gli infiniti mutamenti della storia della pittura, la sua decadenza e la sua resurrezione, la sua capacità di restare giovane mentre intorno a lei tutto invecchia inesorabilmente».

E in effetti basta dare un’occhiata ai lavori di Brown per percepirne la natura continuamente in trasformazione: superfici di colori ondulati e tempestosi, scheletri paradossalmente in decomposizione, mele nelle quali si riflette la burrasca (“Burlesque”, 2008), uso continuo del trompe-l’œil, ottocentesche signore dal volto verde, amletiche “gole profonde” (“Deep Throat, 2007). Saranno oltre sessanta, tra quadri e sculture, “i visionari plagi” di Brown alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: «Un percorso – scrivono gli organizzatori - attraverso i diversi nuclei pittorici e concettuali prodotti dall’artista nel corso degli anni».

MINOLAND


Un’intera giornata con (e su) Giovanni Minoli, il (bravo, ma non divino) giornalista torinese, autore e creatore di programmi come Mixer, Blitz, Quelli della notte, La storia siamo noi. Una giornata agiografica nella sede moderna e un po’ fredda della Piemonte Film Commission. E’ successo ieri, con la presenza-partecipazione di Alessandra Comazzi e Claudio Sabelli Fioretti della Stampa, e la presenza-assenza di Gian Carlo Caselli, la troupe di Tv-Talk (un altro programma minoliano), la moglie del giornalista, la redazione di Futura. C’ero anch’io: dall’inizio alla fine, almeno fisicamente, ho ascoltato. E visto. Mancava l’incenso.

Vedere contemporaneamente in uno schermo stile cinema Troisi che finge di essere un carabiniere sottosviluppato che guarda la “Domenica In” di baudiana memoria, o l’avvocato Agnelli che definisce ironicamente De Mita un intellettuale della Magna Grecia, è uno spettacolo unico. Peccato per la cornice post sovietica che accompagnava gli straordinari filmati minoliani. Francamente non ho capito il perché di questa giornata, che ha regalato momenti interessanti – penso a Mixer, al collage di interviste e al Minà di Blitz, con la pancetta cubana mentre due geni (o forse uno solo) improvvisavano nelle “altre” domeniche Rai, lontane mille miglia dal grigiore di Rai Uno.

E poi d’improvviso, mentre l’incenso tarda ancora ad arrivare, e Minoli ride, sorride, si compiace, si stiracchia e beve, seduto in prima fila osserva i suoi lavori (eri bravo, Giovanni), il dramma di una pausa pranzo che addormenta le coscienze. Si torna ed è subito fiction: Un posto al sole, Agrodolce, Napoli - Filicudi solo andata. E giù con il miracolo italiano delle soap innovative e sociali, con il Nostro che racconta con fare imprenditoriale che lui, molto prima di Obama, nel futuro ha sempre creduto. Yes, you can, Minoli, mentre scorrono le immagini splendide di una terra lontana e insanguinata, non insaponata come la dipingi tu, e Lombardo ti sorride e non ti finanzia. Lombardo. E l’innovazione. E via a passo di tango, dopo altri filmati confusi e affascinanti, è il momento di Sabelli Fioretti. Appunto.

Che dolcezza Arafat sorridente e Gheddafi bugiardo, Marcos tenero e Agnelli geniale, Berlusconi in difficoltà (è cresciuto, l’Imperatore): che normale (e dunque bravissimo) giornalista eri, Minoli. Ieri ho conosciuto il tuo lato soap, il tuo lato imprenditore televisivo, ma di quelli romantici (“che l’alta definizione è inutile”), di quelli “spero che voi giovani mi seguiate”.

Magari Minoli, magari trovassi il coraggio di passare da Berlinguer a Un posto al sole. O magari prima preferirei trovarlo, un posto.

"FIAT, DRASTICI TAGLI IN VISTA"


Secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt la Fiat, a seguito dell’accordo con Opel, è intenzionata a effettuare drastici tagli anche in Italia. Secondo il giornale il Lingotto chiuderà alcuni stabilimenti in Europa, tra cui uno in Italia settentrionale e uno nel meridione. La previsione è contenuta nel "progetto Fenice" presentato dall'amministratore delegato Sergio Marchionne al governo tedesco. Inoltre, secondo quanto dichiarato dal consulente e consigliere di amministrazione Fiat Roland Berger al Financial Times Deutschland , il piano prevede anche la chiusura di un impianto nel Regno Unito e di un altro in Polonia.

Tutto ciò nonostante il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola abbia scritto – proprio a seguito delle indiscrezioni del quotidiano tedesco Handelsblatt – una lettera a Montezemolo e a Marchionne ribadendo come “la centralità delle fabbriche italiane, nell'ambito dell'accordo tra Fiat e Chrysler e delle trattative per la Opel, resti fondamentale”.

mercoledì 22 aprile 2009

il giornalismo poetico non ha futuro. per questo mi ci butterò anima e corpo.

Dal "Manifesto del Dadaismo" del 1918, di Tristan Tzara:

"Per lanciare un manifesto bisogna volere: A, B, C, scagliare invettive contro 1, 2, 3, eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffonder grandi e piccole a, b, c, firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l'accento dell'ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non-plus-ultra e sostenere che la novità somiglia alla vita tanto quanto l'ultima apparizione di una cocotte dimostri l'essenza di Dio.

Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contradittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l'azione, per la contraddizione continua e anche per l'affermazione, non sono nè favorevole nè contrario e non dò spiegazioni perchè detesto il buon senso.

DADA non significa nulla.